POLITICA

Il paradosso di Bussetti: contro le disuguaglianze, la secessione dei ricchi

PER IL MINISTRO IL DIVARIO NORD/SUD TRA STUDENTI PUÒ ESSERE RECUPERATO CON L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
ROBERTO CICCARELLIITALIA/ROMA

Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, sostenitore della scuola regionalizzata sul modello del Trentino, ha colto l’occasione della presentazione del rapporto Invalsi ieri alla Camera per rilanciare l’autonomia scolastica differenziata che oppone la Lega ai Cinque Stelle nel governo. Per il ministro le diseguaglianze emerse dal rapporto tra gli studenti del Nord e del Sud possono essere recuperate «con il tempo pieno» e con la riforma dell’autonomia che continuerà ad essere discussa oggi in un incontro a palazzo Chigi.
Ad avviso di Bussetti, questa «autonomia» dovrebbe migliorare la «sinergia tra istituzioni scolastiche e territorio». Per questa ragione è considerata «un’opportunità» che «va definita e messa a punto nel dettaglio». Discorso enigmatico, e paradossale: alle diseguaglianze economiche che incidono sulla condizione sociale sin dalla più giovane età si vorrebbe così rimediare rafforzando le diseguaglianze tra le regioni a cui la riforma in faticosa gestazione sembra attribuire, tra l’altro, il potere di reclutare i docenti e di stabilire autonomamente i piani di studio. In questo modo le regioni «forti» - Veneto e Lombardia che, insieme all’Emilia Romagna, pressano il governo per l’approvazione della «riforma» - avrebbero risorse e poteri in più per accelerare la secessione in atto. È «l’idea dell’ospedale che cura i sani e respinge i malati» ha commentato Francesco Sinopoli (Flc Cgil) che ha invitato Bussetti a maturare una visione d’insieme della scuola nazionale, senz’altro diversa da una che approfondisce le diseguaglianze sin dalla scuola dell’infanzia moltiplicandole in tutti i gradi successivi dell’istruzione.
Il rapporto Invalsi parla di una difficoltà di apprendimento dell’italiano più pronunciata al Sud (40%) e nelle isole (46%) che al Nord Ovest e Nord Est (30%, in media). In matematica il quadro stabilito da test e indicatori somministrati da questa strategia neoliberale di certificazione, valutazione e controllo dell’istruzione sembra ancora peggiore. La percentuale di alunni che non arriva ad un livello «adeguato» è del 32% nel Nord Ovest e del 56% nel Sud e Isole. Secondo questi criteri, presentati come oggettivamente misurabili e non interpretabili, esiste una disuguaglianza cognitiva che è stata collegata alla condizione sociale degli studenti in base a una correlazione tra indice e punteggi ottenuti nei test di tutte le materie. Tale correlazione è stata stabilita in base all’indicatore Escs (Economic Social Cultural Status Index), che misura le condizioni sociali, culturali ed economiche rispetto al loro rendimento. Da ciò deriva la considerazione secondo la quale vivere in un territorio meno avanzato economicamente implichi un rendimento giudicato meno soddisfacente rispetto ai criteri prestabiliti. Si tratta di una considerazione a rischio di determinismo che non considera l’insegnamento. È un giudizio negativo e generico rispetto all’attività dei docenti e lascia poco spazio alla singolarità dello studente che viene penalizzato dalla valutazione. Senza contare che andrebbero discussi gli stessi criteri, e la loro presunta oggettività, verificando il caso che non siano una delle cause della «povertà educativa che mina alle radici il futuro dei bambini» denunciata ieri da Save The Children Italia.
«Le valutazioni da sole non bastano se non si attiva un processo di miglioramento» ha detto Luigi Gallo, presidente della Commissione Istruzione della Camera. Entro luglio «presenteremo una nostra risoluzione di indirizzo in cui si eliminerà l'obbligatorietà delle prove Invalsi, lasciando alla singola scuola la libertà di svolgerle».
«Abbiamo deciso di abolire l’obbligatorietà dei test per evitare che diventino un metro di valutazione degli studenti che è compito dei docenti - ha confermato il ministro Bussetti - I test servono a fare una fotografia del lavoro dei docenti, dei dirigenti e degli studenti». Una interpretazione curiosa di un sistema che serve anche a valutare questo lavoro in un sistema competitivo che oggi si vuole implementare e chiamare «regionalismo scolastico».

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