APERTURA SECONDA

Per noi è una prima opportunita

ATENE IL COMIZIO DI TSIPRAS
LUCIANA CASTELLINAgrecia/atene

Il comizio finale è annunciato alle 20.30. Come è prassi in Grecia comincia un’ora dopo: la folla che si è lentamente radunata attorno al palco, mentre dagli altoparlanti esce musica allegra e tonante, è diventata tanta, fino a riempire le strade che convergono sul lato sud di piazza Syntagma. 
Piazza Syntagma è il luogo dove ormai da circa 60 anni ho visto scorrere la storia di questo paese. Nella buona e nella cattiva sorte. Oggi è un momento particolarmente importante: in gioco è la sorte del primo governo di sinistra che la Grecia abbia mai avuto; e con questo quella del paese che ha saputo portare fuori dal tunnel.
È venerdì sera, sono seduta accanto al palco vicino a Vassilis Vassilikos, autore di Z, il libro in cui si racconta l’assassinio di Lambrakis e il drammatico antefatto del colpo di stato dei colonnelli nel ’67. Costa Gavras ne trasse, nel ’69, il famosissimo omonimo film, che diventò simbolo della resistenza antifascista in tutta Europa. Oggi Vassilis è capolista di Syriza, cui si è avvicinato dopo essere stato in passato nell’area prossima al Pasok. È così per parecchi altri rimasti orfani del grande partito di centro-sinistra fondato da Andrea Papandreu, poi malamente finito perché travolto da errori e corruzione: nelle elezioni del 2012 perse due terzi dei suoi voti e oggi - per quel che gli rimane, e con un altro nome, Kinalk - è alleato di Nuova Democrazia.
È da quell’elettorato che potrebbe venire aiuto a Syriza? È una delle scommesse di queste elezioni cui si arriva con una larga area di indecisione; ed è a questa che fa appello Alexis nel suo discorso.
Più difficile sperare in una ragionevole resipiscenza degli elettori dell’ostinato settarissimo Partito Comunista che tuttora sopravvive attaccando Syriza (alle europee ha preso il 5,9%), tanto meno in quella degli altri 6 partitini trozkisti e/o ML che odiano Tsipras, non contano niente ma sperdono voti. E neppure, ovviamente, in quelli di MeRa25, la formazione di Varoufakis, che tiene il suo comizio in contemporanea e non lontano da dove siamo noi. A fronte di uno scarso pubblico ha detto che il voto a Syriza è inutile.
SUL GRANDE PALCO ROSSO una sola scritta: «Per un grande rovesciamento della storia». È quello che ha tentato Syriza in questo paese martoriato dalle peggiori destre. Alexis, solo sul palco, la sua tradizionale camicia bianca bagnata di sudore nel bollore del clima ateniese e dall’enfasi del suo discorso che supera un’ora, interrotto di continuo dagli applausi, è ben consapevole della portata storica del momento. Parla con sincerità della prova durissima di questi anni. Ne sono passati quattro e mezzo dalla prima straordinaria vittoria elettorale del gennaio 2015, quando anche quasi 500 italiani vennero ad assistere quasi increduli ai risultati e poi tornarono anche più numerosi al secondo appuntamento, meno di 5 mesi dopo, per le seconde elezioni e per il referendum in cui Tsipras raccolse il massiccio No al diktat della Troyka. Gli serviva per avere più potere contrattuale nel negoziato con Bruxelles che imponeva una restituzione immediata del debito sovrano che i precedenti governi avevano accumulato, il 15,1%, cinque volte di più del 3% ammesso. E questo in una Atene traumatizzata, le lunghe fila ai bancomat per tentare, senza successo, di ritirare i propri risparmi, la disoccupazione al 28 per cento, le pensioni che non si potevano pagare.
SAPPIAMO TUTTI quanto dura sia stata la trattativa. Ho ancora negli occhi l’immagine di Alexis a Bruxelles quando, esasperato dalla crudeltà della controparte, si toglie la giacca ed esclama: «Volete che vi dia anche questa?». Oggi, sia pure ancora segnata dalla pesantezza della prova, la Grecia è diversa, finalmente fuori dal famoso Memorandum. «Questo è il grande successo per cui è valsa la pena di lottare, uscire dal buio della foresta e arrivare alla radura. Non restituiremo le chiavi delle casse alle banche che hanno fatto fallimento, non decidono più loro, decidono i greci. Né permetteremo che la destra intralci il cammino che ci ha portato a una crescita costante che dura da nove trimestri e a 400mila posti di lavoro in più».
ALEXIS, CAPITANO coraggioso di un’azione di governo che ha saputo resistere alle tentazioni demagogiche e populiste che avrebbero portato il paese al disastro e reggere la barra senza paura di momenti di impopolarità, rievoca le tappe del drammatico tragitto di questi quattro anni e avverte: con il voto di oggi noi non chiediamo di darci fiducia per una seconda prova ma per una prima opportunità. Solo ora possiamo impegnarci a realizzare il nostro programma, prima abbiamo solo potuto rendere il meno doloroso possibile il programma che ci è stato imposto e che abbiamo dovuto subire se non volevamo che il paese finisse in un caotico fallimento. Non permetteremo che chi ci aveva portato al disastro metta le mani sul “tesoretto” di 34 miliardi che abbiamo messo da parte per far fronte alle evenienze ed esser sicuri di non tornare a essere schiavi. 
È costretto a difendersi ancora una volta per un altro dei suoi atti di coraggio, l’accordo con la Macedonia ex jugoslava cui ha concesso di chiamarsi Macedonia del nord. «Prima avevamo alla nostra frontiera settentrionale un popolo nemico, ora ne abbiamo uno amico» - ha ripetuto, rispondendo ai forsennati attacchi subiti e che rischiano di costare molti voti.
Le bandiere sventolano, il centro di Atene si popola di compagni col simbolo di Syriza sulle camicie, c’è, ancora una volta, un clima di festa. E però tutti siamo consapevoli che sarà difficile colmare quel distacco di quasi 9 punti con la destra che il sondaggio registra. Kyriakos Mitsotakis, che ha rifiutato ogni confronto televisivo con Tsipras, ha giocato sulla smemoratezza della gente, denunciando i sacrifici imposti senza spiegarne la motivazione. L’impero mediatico che lo appoggia gli consente di dire qualsiasi cosa. E poi intercetta l’onda antistatalista che attraversa tutta l’Europa: meglio l’iniziativa privata che le strutture pubbliche, fonte di corruzione (che è poi proprio la loro), e perciò via il sistema statale di assistenza, apertura alle università private, deregulation. 
ANCHE IN QUESTI ultimissimi giorni di campagna elettorale, che pure ha una posta in gioco così alta, Atene è rimasta distratta, lontana. Quando qualche passante prende in mano un volantino sembra non trattare il suo contenuto politico diversamente dalla réclame di un dentifricio. Per una come me che ha ancora in memoria gli scontri arroventati e appassionati che ad ogni prova di voto coinvolgevano l’intera società, questa distanza spaventa. Sembra che pochi ritengano ancora possibile riconquistare la fiducia nell’evenienza di influire sulle deliberazioni, che tanto quelle che contano vengono prese altrove, nell’universo indistinto e incontrollabile del mondo globale. Il tessuto connettivo della società è lacerato e non ha più né luoghi per riflettere e capire, né canali per esprimersi. Subisce, e basta. Qui come da noi come in tutto l’occidente dove il vero successo del potere è stato svuotare di sostanza la democrazia conservandone le forme. Questo è il problema che dobbiamo affrontare, qui e altrove. 
IERI NOTTE siamo andati a dormire con molta ansia, sperando non nei miracoli che sembrano essere ormai rari, quanto piuttosto nella convinzione che, comunque vada, questa vicenda greca è e resta decisiva, ha accumulato esperienza, coscienza, speranza, capacità di impegno, ha prodotto qui una quantità di nuovi giovani quadri. È un nuovo patrimonio, oltre il tesoretto dei 34 miliardi. Darà forza anche a noi.

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