VISIONI

Una compagnia di giro in cerca di accoglienza

«Esodo» di Emma Dante, al festival di Spoleto, riscrive la tragedia di Edipo nei conflitti del nostro presente
GIANFRANCO CAPITTAITALIA/spoleto

Compie 62 anni lo storico festival dei due mondi, ma i mondi si sono moltiplicati, e la comunicazione globale rende difficili le «scoperte» in un universo già tutto a portata di clic. Resta una vetrina prestigiosa e sicura (assieme a quello di Napoli è il più ricco e garantito tra i festival italiani). Le scoperte vere e più promettenti sono forse i giovani talenti che hanno l’occasione di mostrarsi nella fitta rete di collaborazioni con l’Accademia Silvio D’Amico. Un esempio per tutti il lavoro sul simbolismo di Maeterlinck: guidato da Mauro Avogadro su I ciechi mostra lo sforzo positivo del misurarsi creativamente con orizzonti culturali all’apparenza assai lontani. Paradossalmente simmetrico alla Ballata della Zerlina che Adriana Asti ripropone (al Caio Melisso fino al 14 luglio), dopo Jeanne Moreau e Giovanna Daddi: un altro mondo abissalmente lontano, tra dedizione e dannazione, nella scrittura lucida e crudele di Hermann Broch. Unico rimpianto dello spettacolo, la mitica Lucinda Childs (danzatrice e coreografa fondamentale, con Bob Wilson fin da Einstein on the beach). Chiamata alla regia, si limita a figurare muta quale malvagio cavaliere oggetto di passione.
Tutto lo smalto del festival è concentrato nello charme dilagante di Jean Paul Gaultier e del suo Fashion freak show. Una fedele quanto visionaria autobiografia dello stilista, con danzatori cantanti, fantasisti e proiezioni multiple e musica a palla, e il marchio di fabbrica delle Folies Bergeres, dove lo spettacolo è nato. Eppure quella rutilante cavalcata dagli anni 80 a oggi si fa memoria collettiva, dall’educazione di sua nonna fatta di corsetti alla liberazione sessuale ombrata dalla paura dell’Aids, dalla musica nuovo linguaggio liberatorio ai miti che lo stilista ha rivestito di glamour e originalità: da Madonna a Amanda Lear, da Prince a Catherine Deneuve che appare filmata come suo banditore. Molto divertimento, un filo di amarezza e la conquista di nuove frontiere della propria immagine, per tutti. Il personaggio di «cattivo ragazzo» si svela consapevole e assiduo lavoratore per un nuovo immaginario.
IN TUTT’ALTRO tenore, Emma Dante vive un periodo di fertile creatività: finite le riprese del film sulle Sorelle Macaluso, presenta ora a Spoleto Esodo, ma già ha in preparazione un nuovo lavoro anche questo dal titolo programmatico, Misericordia. Lei non ha mai celato come la ricerca di un linguaggio nuovo e personale sia collegato strettamente nel suo lavoro al valore civile e morale che il teatro, in tutte le sue possibili variazioni, deve avere. È così anche per questo Esodo (nella chiesa di San Simone fino a domenica 14) che si riallaccia a una memoria antropologica, ma sempre sul tracciato forte della tragedia antica. Il protagonista è infatti Edipo, in una situazione che evoca il suo arrivo a Colono come nel testo di Sofocle, in cerca di un luogo dove porre fine alle sue pene e alla sua stessa vita, in cerca insomma di una non formale «accoglienza» .
Ma Emma Dante, scrivendo col senno di oggi (quasi consapevole che il mitico personaggio possa essere passato a riscuotere i suoi crediti dal dottor Freud) lo fa arrivare in proscenio circondato da tutta la sua allargatissima famiglia. C'è la moglie e madre sua Giocasta, le figlie/sorelle Antigone e Ismene, il «noioso» Tiresia che per il suo ruolo istituzionale va divinando la orrenda verità, e c'è perfino il vecchio padre Laio, mummificato su una sedia a rotelle, vittima di quel figlio violento e inconsapevole.
CON GRANDE senso della coralità e dei suoi effetti emotivi, la regista ci mostra di quella compagnia di giro, del dolore e dell'incoscienza, una sorta di fascino gitano: cantano, suonano, danzano, si nascondono in allegria la verità di cui sono portatori. Ma per il proprio carico sovrumano di tragedia e umanità non chiedono altro che accoglienza.
Asilo, diremmo noi oggi nel linguaggio corrente. Consapevoli però che la diversità, anche se incolpevole e non scelta, può divenire artatamente barriera insuperabile al dialogo, e quindi all'accoglienza. Il caso più estremo di colpa della tragedia antica ne motiva l'Esodo, e ne reclama la soluzione, da parte di noi civilizzati, solo in apparenza evoluti. Da motivare la richiesta finale al pubblico: «Pietà!», ancora in attesa di risposta.

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