CULTURA

Babilonia nel Patrimonio dell’Umanità

UNESCO
VALENTINA PORCHEDDUiraq/babilonia

Il 5 luglio l’Unesco ha annunciato di aver incluso nella sua celebre e ambita lista, uno dei siti archeologici maggiormente evocativi della storia: Babilonia. Il prestigioso riconoscimento arriva dopo trentasei anni di tentativi e cinque differenti stesure del dossier di candidatura. Un tempo lunghissimo, durante il quale l’Iraq è stato attraversato dal conflitto con l’Iran, dalla prima Guerra del Golfo, dalla cosiddetta Guerra dell’Iraq - o seconda Guerra del Golfo - e dai recenti scontri con lo Stato Islamico nella parte occidentale del paese.
UBICATA ottantacinque chilometri a sud di Baghdad, la città che tra il 626 e il 539 a.C. fu capitale del regno neobabilonese, si presenta oggi come una copia dell’antico splendore. Poche, infatti, sono le rovine affioranti su un’area di dieci chilometri quadrati solo parzialmente indagata mentre i monumenti messi in luce dagli scavi di Robert Koldewey tra il 1899 e il 1917 sono stati ricostruiti in maniera eclatante, sebbene seguendo - almeno in principio - il filo delle acquisizioni scientifiche. Fervente sostenitore del progetto di rinascita di Babilonia fu Saddam Hussein, il quale si considerava l’emulo di Nabucodonosor II (604-562 a.C.), il sovrano che secondo la tradizione costruì i leggendari giardini pensili, fra le sette meraviglie del mondo antico, e distrusse il Tempio di Salomone a Gerusalemme. Proprio accanto al palazzo di Nabucodonosor II, il rais fece erigere una delle sue sontuose residenze. L’edificio del VI-IV secolo a.C. noto anche come Palazzo Meridionale - danneggiato durante l’occupazione americana - aveva la forma di un trapezio formato da una successione di cinque differenti ambienti a corte centrale giustapposti uno all’altro e collegati da poderosi ingressi turriti. Nel terzo corpo si trovava la Sala del Trono (larga ben settantacinque metri), secondo lo studioso Paolo Matthiae «motivo di meraviglia, se non di sconcerto» per il virtuosismo architettonico. Sul tratto settentrionale dell’imponente cinta muraria di Babilonia, per il cui rifacimento Hussein ordinò la produzione di sessanta milioni di mattoni, sorgeva la spettacolare Porta di Ishtar - divinità femminile per eccellenza del pantheon mesopotamico -, composta da mattoni invetriati a rilievo con figure di leoni, tori e dragoni apotropaici sacri a Marduk.
UNA MAESTOSA ricostruzione della porta, effettuata con i materiali recuperati da Koldewey, può essere ammirata al Pergamonmuseum di Berlino mentre sul sito iracheno, oltre alla riproduzione della via processionale che da essa si dipartiva, si trova una replica ridotta. Se da una parte, il «premio» conferito a Babilonia può esser interpretato come un incoraggiamento verso un popolo che prova faticosamente a riemergere da decenni di oppressioni e ingerenze straniere, dall’altra non bisogna dimenticare la fragilità di un sito già in degrado che potrebbe glissare nella lista del patrimonio in pericolo. Non bastano infatti l’etichetta dell’agenzia dell’Onu né il mito della Torre di Babele, riecheggiante nell’arte di ogni tempo, a proteggere memorie condivise tra Oriente e Occidente.

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