INTERNAZIONALE

L’Europa abbandona l’Iran,Teheran perde la pazienza

Da ieri la Repubblica islamica è tornata ad arricchire l’uranio. Israele: «Nuove sanzioni»
MICHELE GIORGIOusa/iran/europa

Il rischio che una scintilla possa appiccare l’incendio aleggia tra le acque di Gibilterra e quelle del Golfo. Un rischio ben più alto di quello rappresentato dalla sfida lanciata dall’Iran – l’innalzamento da ieri del livello dell’arricchimento dal 3,67% al 4,5%, quindi oltre il limite consentito dall’accordo del 2015, dell’uranio necessario per le sue centrali nucleari – a un’Europa che non mantiene le sue promesse e appoggia l’amministrazione Trump che sta demolendo il diritto internazionale.
LA BRITISH HERITAGE, enorme petroliera battente bandiera britannica, non osa uscire dal Golfo per timore di essere bloccata da Tehran, in risposta al sequestro, compiuto dai marine di sua maestà la scorsa settimana davanti alle coste di Gibilterra, della Grace 1 che trasporta petrolio iraniano.
La British Heritage stava navigando verso il terminal petrolifero iracheno di Bassora quando il 6 luglio ha fatto inversione di rotta. Si è diretta verso le coste saudite temendo di diventare nello Stretto di Hormuz un obiettivo dei corpi speciali iraniani. Sono state sufficienti le minacce dei Guardiani della Rivoluzione di sequestrare una nave britannica per concretizzare l’ammonimento tante volte rivolto dagli iraniani al mondo: «Se non potremo esportare il nostro petrolio, allora non potrà farlo nessuno». La chiusura di Hormuz, per il quale passa circa un terzo del petrolio prodotto nel mondo, è considerata da Donald Trump un casus belli.
TEHRAN IERI ha lanciato l’ennesimo appello ai Paesi europei, affinché mantengano la parola data di avviare un meccanismo per aggirare le sanzioni americane alle esportazioni petrolifere iraniane. «Se gli europei non manterranno i loro impegni il nostro terzo passo nei prossimi 60 giorni sarà ancora più grave», ha detto un portavoce del ministero degli esteri iraniano.
TEHRAN, HA SPIEGATO il portavoce della commissione energia del Parlamento, Assadollah Gharenkhani, giudica «solo parole» le promesse dei Paesi europei firmatari dell’intesa del 2015 – Francia, Gran Bretagna e Germania – di rendere operativo Instex, lo strumento finanziario che permette di continuare le transazioni con l’Iran.
Secondo Gharenkhani, l’Europa deve aiutare subito, senza esitazioni, Teheran a riprendere le esportazioni di petrolio che l’amministrazione Trump è riuscito a ridurre drasticamente con pressioni, ricatti e minacce sull’intera comunità internazionale. La reazione di Bruxelles non è stata quella che avrebbe voluto l’Iran. La Ue ha esortato la Repubblica islamica a «interrompere le sue attività contrarie agli impegni presi», ha detto una portavoce della Commissione europea sottolineando che l’Ue sta coordinando la sua posizione con gli altri firmatari delle intese raggiunte quattro anni fa.
IL 4,5% DI ARRICCHIMENTO è molto lontano dal 90%, la soglia necessaria per costruire armi atomiche, possibilità che l’Iran nega con forza. Ma per Washington e Tel Aviv è come se Tehran stesse già assemblando ordigni nucleari. Il vice presidente Usa Mike Pence, parlando ieri al congresso annuale di Christians United for Israel, potente organizzazione evangelica a sostegno dello Stato ebraico, ha ribadito che gli Stati uniti non faranno passi indietro e «non permetteranno all’Iran di dotarsi di armi atomiche».
NUOVE SANZIONI contro l’Iran erano state chieste domenica dal premier israeliano Netanyahu, leader dell’unico paese del Medio Oriente che possiede segretamente ordigni atomici, non è sottoposto ad alcun controllo e non ha firmato il Trattato di non proliferazione. «Si tratta di un passo molto pericoloso», ha detto Netanyahu secondo cui l’arricchimento dell’uranio «a tali livelli» avrebbe un solo proposito: la creazione di ordigni nucleari.

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