SOCIETA

«Stremati, non conoscono ancora il loro destino»

NELL’HOTSPOT DI LAMPEDUSA
ADRIANA POLLICElibia/italia/lampedusa

Sono stati salvati il 12 giugno dai volontari della Sea Watch a 47 miglia da Zawiya, sono sbarcati dopo 16 giorni, venerdì notte, e solo perché la capitana Carola Rackete ha forzato il blocco imposto dal governo italiano: dei 53 naufraghi, 13 sono stati evacuati per motivi sanitari, in 40 sono adesso nell’hotspot di Lampedusa e non sanno quale sarà il loro destino. Alberto Mallardo è un operatore del programma Mediterranean Hope, della Federazione delle Chiese evangeliche, allo sbarco era tra quelli che hanno prestato assistenza: «Erano stremati, provati sia fisicamente che psicologicamente al punto da sembrare in trance. La situazione intorno a loro era molto traumatica: erano circondati dalle forze dell’ordine e dai giornalisti, sul molo c’era gente che urlava, la capitana portata via in manette». Mallardo ha continuato ad assisterli nell’hotspot: «Per ora non hanno voglia di raccontare cos’hanno passato alla deriva in mare e poi bloccati a poche miglia dalla terra ferma. Hanno bisogno di tempo per riprendersi. Adesso l’unica cosa che riescono a spiegare è che sono stati molti mesi in Libia, dove li hanno torturati. Un ragazzo mi ha detto: «Il giorno che sono arrivato qui ho fatto la più bella dormita della mia vita». Raccogliamo le loro storie anche perché resti traccia del loro passaggio, di quello che hanno vissuto».
Al momento il centro accoglie circa 120 persone: mentre i 40 a bordo della Sea Watch erano bloccati sul ponte con il sole a picco, senza lo spazio necessario per muoversi, a Lampedusa continuavano ad arrivare migranti. Qualcuno direttamente col barchino, altri sono stati raccolti dalle motovedette italiane. Tra loro anche le undici donne e bambini che facevano parte dei 55 migranti avvistati domenica dall’Ong catalana Open arms, poi soccorsi dalla Guardia di finanza. Per i naufraghi della Sea Watch cinque paesi stati si sono detti disponibili ad accoglierli: «Per adesso nessuno sa quale sarà il loro destino. Non c’è una prassi consolidata, ogni salvataggio innesca una trattativa diplomatica che prosegue anche dopo lo sbarco. Quando i flussi erano importanti ci volevano fino a due mesi prima che uscissero dall’hotspot, adesso bastano meno di dieci giorni. L’Ue potrebbe gestire gli arrivi nei luoghi di origine, invece di queste prove di forza con le persone bloccate in mare come arma di ricatto».
(adriana pollice)

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