POLITICA

La maggioranza perde altri pezzi al senato

VIA LIBERA AL DECRETO CRESCITA, LITE DI MAIO-SALVINI SU EX ILVA
ROBERTO CICCARELLIITALIA/ROMA

Tredici voti in meno dalla prima fiducia a Conte (171). Dopo il voto definitivo sul decreto crescita ieri il governo balla al Senato. I 158 «sì» (104 «no» e 15 astenuti) che hanno approvato dopo settimane di maquillage segnano il punto più basso dell’ircocervo pentaleghista. In altri tempi il presidente del Consiglio sarebbe salito al Colle, oggi invece celebra l’approvazione di un provvedimento simile a un «omnibus» che contiene norme disparate dal «Salva Roma» poi trasformato in un «Salva Comuni» ai tre milioni di euro per Radio Radicale. Per Conte è «il segnale di un paese che fa sistema e rilancia l’economia». Più che altro questo testo sfilacciato segna il progressivo sfaldamento dei Cinque Stelle: dopo i senatori De Falco, De Bonis e Nugnes, ne sono dati in uscita altri. I voti della maggioranza sono 156 ai quali ieri si sono aggiunti due dal gruppo misto. Al momento i voti a disposizione dei legastellati sono al di sotto della maggioranza assoluta di 161. L’approvazione a due giorni dalla scadenza del decreto approvato da due consigli dei ministri «salvo intese» ha lasciato strascichi polemici tra Di Maio e Salvini sulla cancellazione delle tutele legali per l'attuazione del piano ambientale e la minaccia di Arcelor Mittal di chiudere gli stabilimenti il prossimo sei settembre.
«NON CI POSSIAMO permettere la chiusura, sono 15 mila posti di lavoro diretti e altrettanti indiretti – aveva detto Salvini - Per carità la tutela ambientale, ma gli imprenditori arrivati adesso hanno ereditato una situazione disastrosa e in nove mesi non possono sistemarla». Di Maio ha accusato Salvini di intervenire impropriamente nella trattativa che sta conducendo con l’azienda. «Una crisi aziendale seria che non si risolve con un tweet o con un’affermazione in un salotto Tv – ha accusato il pentastellato - Mi spiace se c’è stata una certa interferenza da parte di Matteo Salvini. Se si dice che ha ragione Arcelor Mittal, praticamente si sta danneggiando la trattativa». Non è la prima volta che il ministro dell’interno fa le veci di quello del lavoro e sviluppo – l’ultimo caso è la convocazione al Viminale dei sindacati per parlare di lavoro nel Sud.
A QUESTO GIRO, già stretto dall’ultimatum di Arcelor Mittal, Di Maio sembra avere capito che non può lasciare a lungo anche la delega ai problemi industriali al dominus leghista. Per Di Maio «se ne uscirà con il buon senso, io non accetto ricatti». Salvini alla fine ha abboccato: «C’è un tavolo aperto, non interferisco». Le controparti avranno modo di confrontarsi il nove luglio quando è stato convocato un tavolo al ministero dello sviluppo a Roma, insieme ai sindacati nazionali e territoriali di categoria, i confederali e i commissari Ardito, Danovi, Lupo. «In queste condizioni non si può andare avanti perché non posso mandare i miei manager lì ad essere responsabili penalmente in una situazione già fuori norma perché l’impianto è sotto sequestro» ha spiegato l’ad Arcelor Mittal Europa, Geert Van Poelvoorde.
UN TEMPO LUNGO per una polemica che non tarderà a infuocarsi. Potrebbe anche darsi il caso che la Lega imponga ai Cinque Stelle un’altra misura che cancella quella approvata ieri. Per Maurizio Landini (Cgil) «la convocazione del tavolo è fondamentale, ma il governo non scarichi le responsabilità di ciò che non ha fatto in passato sul nuovo gruppo, ma risponda di ciò che farà. E l’azienda la smetta con le minacce e i ricatti, si confronti con il sindacato e i lavoratori». Alla segretaria Fiom Francesca Re David la situazione ricorda la «tempesta perfetta» che rischia di travolgere gli stabilimenti di Taranto e Novi Ligure e cancellare l’acciaio in Italia. «La gestione del governo è stata incauta, la multinazionale ha una responsabilità rilevante. Di Maio chiarisca cosa vuole dire con "se l’azienda rispetta i tempi del piano non ha di che preoccuparsi”». «L’importante è che Arcelor Mittal non proceda con la Cassa integrazione per 1.395 lavoratori lunedì, prima della convocazione del tavolo» sostiene Carmelo Barbagallo (Uil). ro. ci.

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