SOCIETA

La disperazione dei 42 a bordo: «La salvezza continua a non arrivare»

SULLA NAVE I DEPUTATI MAGI, FRATOIANNI, ORFINI, DELRIO E FARAONE
ADRIANA POLLICElibia/italia/lampedusa

«Sono disperati, non capiscono perché non possono sbarcare. Sulla lamiera del ponte il caldo è intollerabile. L’ordine interministeriale di non ingresso nelle acque territoriali è un atto folle e sadico sulla pelle di 42 naufraghi. In Italia si entra continuamente sui barchini o addirittura sulle motovedette della Guardia costiera»: il parlamentare di +Europa Riccardo Magi ieri pomeriggio era sulla Sea Watch 3 con una delegazione di deputati composta da Nicola Fratoianni di Sinistra italiana e dai Pd Matteo Orfini, Graziano Delrio e Davide Faraone, decisi a non abbandonare la nave fino al via libera allo sbarco. Ieri si sono messi in viaggio verso la Sicilia altri parlamentari dem per portare avanti la staffetta.
Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha sentenziato: «Non sono naufraghi, ma uomini e donne che pagano 3mila dollari per andar via dal proprio paese». Il ministro sottintende che siano persone con disponibilità economiche in grado di pianificare il viaggio. Magi spiega quanto questa affermazione sia falsa: «Tra i 42 c’è un ragazzo del Camerun, mi ha raccontato la sua storia. È scappato dal suo paese in guerra ed è finito in Nigeria, dove ha trovato i terroristi di Boko Haram. Gli hanno detto che poteva riparare in Libia, di cui non sapeva nulla, e si è rimesso in cammino con due amici. Uno dei due è stato ucciso nel deserto libico, non sa dire esattamente chi fossero gli assassini, militari o miliziani, perché 'in Libia tutti indossano una divisa', mi ha spiegato».
In Libia è cominciato un nuovo inferno: «A Sabha è finito in un centro di detenzione, uno stanzone soffocante - prosegue Magi -. Da lì è riuscito a fuggire verso le campagne. Ha creduto di essere al sicuro in una fattoria, dove l’hanno preso a lavorare, ma ha subito capito di essere diventato uno schiavo: doveva faticare senza sosta, senza ricevere acqua o cibo per giorni. È scappato ancora». A Tripoli gli hanno detto che poteva raggiungere l’Italia. Anche il suo secondo amico è stato ucciso. Ha pagato per imbarcarsi alla volta della Sicilia. All’appuntamento, all’alba, ha trovato la Guardia costiera che l’ha arrestato e rinchiuso di nuovo: «È rimasto in prigionia per altri due mesi prima di riuscire a imbarcarsi ancora verso l’Italia. Il 12 giugno i volontari l’hanno ripescato dal gommone mezzo affondato a 47 miglia da Zawiya. Sul ponte della Sea Watch - conclude Magi - mi raccontava la sua storia e piangeva, disperato, perché la salvezza continua a non arrivare».
Matteo Villa, ricercatore del programma Migrazioni dell’Ispi, spiega qual è il meccanismo: «In Libia sono rimasti circa 7mila migranti nei centri di detenzione ufficiali più quelli nei centri non ufficiali, per un totale di 20-30mila. Il business delle milizie era farsi pagare per partire verso l’Europa. Dalla metà del 2017 il gioco è diventato farli partire e poi chiamare la Guardia costiera che li intercettava riportandoli indietro. In questo modo le milizie si facevano pagare più volte dalle famiglie dei migranti e, allo stesso tempo, guadagnavano legittimità nei confronti del governo Serraj, al punto che alcune di loro sono state inserite tra i ranghi del ministero dell’Interno. I migranti che stanno arrivando in Italia dichiarano di essere partiti 3, 4 volte».
È per questo che Hermann, pure lui bloccato sulla Sea Watch, ha dichiarato in un video: «Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto che essere nuovamente torturato in Libia». È ancora Magi a spiegare: «Le persone a bordo sono stremate, minacciano di buttarsi in mare. Salvini alimenta lo scontro per i suoi fini politici senza alcuna considerazione dei costi umani».

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