CULTURE

Il lungo viaggio dell’odio per gli ebrei. Dall’«affaire Dreyfus» alle periferie d’Europa

«BREVE STORIA DELLA QUESTIONE ANTISEMITA» DI ROBERTO FINZI, PER BOMPIANI
ENRICO PAVENTIITALIA

Dall’epoca della diaspora fino ai giorni nostri, vale a dire ormai da due millenni, gli ebrei sono vittime di pregiudizi, odio, persecuzioni e massacri. È quindi accaduto, come continua ad accadere, che siano oggetto di un’avversione a volte del tutto irrazionale, visto che il sentimento antisemita esiste anche laddove non ci sono ebrei o viene nutrito persino da chi non ha mai conosciuto un israelita.
UNA SIMILE OSTILITÀ - che affonda indubbiamente le proprie radici nella tradizione religiosa ma che, nel corso dei secoli, è stata inasprita dall’azione di alcuni elementi di carattere antropologico e socioeconomico - continua però a sussistere pure quando la società si è stabilmente avviata sulla strada della secolarizzazione: in questi casi essa trova la propria origine e giustificazione in qualche argomento «razziale» secondo il quale sarebbe la sua stessa natura a indurre l’ebreo a distruggere l’ordine sociale e a imporre il proprio dominio sull’intera umanità, che raggiungerebbe attingendo alle risorse finanziarie di cui dispone.
Convinto che ogni valutazione debba fondarsi su una conoscenza onesta e rigorosa dei fatti, Roberto Finzi ha deciso di non esporre in questo volume le diverse interpretazioni del livore antiebraico: ha invece scelto di narrare - nella maniera quanto più possibile concisa ed esatta - la storia «delle più cospicue espressioni, pratiche e teoriche, dell’antisemitismo “moderno” dalla metà dell’Ottocento in avanti». Una storia fatta spesso di pregiudizi tramandati e vissuti in modo del tutto acritico, di piccole e all’apparenza trascurabili discriminazioni quotidiane, di chiacchiere e battute a prima vista banali ma cariche in realtà di profondo astio. Lo studioso ci fornisce così un invito alla riflessione: uno sforzo analitico che dovrebbe condurci a prendere in esame le motivazioni sulle quali - malgrado il trascorrere dei decenni e l’affermazione del progresso tecnico-scientifico - continuano a fondarsi pregiudizi tanto antichi e radicati.
IN QUESTO SAGGIO dal titolo Breve storia della questione antisemita (Bompiani, pp. 235, euro 12,00), Finzi inizia la sua analisi mettendo al centro della propria attenzione due celebri vicende, una ascrivibile nell’ambito dell’antigiudaismo, l’altra che è invece possibile inserire nella categoria dell’antisemitismo: quelle di Edgardo Mortara e di Alfred Dreyfus.
Non sarà forse inutile, al riguardo, rammentare come il primo atteggiamento tenda a concretizzarsi in un comportamento ostile nei confronti dell’ebreo, un’avversione che persiste fino a quando questi non arriva a convertirsi. Per l’antisemita, invece, l’ebreo resta tale indipendentemente dalla religione che professa. Nel primo caso, quindi, l’israelita sarà malvisto a causa del suo credo, nel secondo in quanto tale. L’antigiudeo considera l’identità ebraica qualcosa di provvisorio, soggetto dunque al cambiamento. L’antisemita ritiene al contrario che costituisca un elemento definitivo e immutabile.
Lo storico ripercorre in seguito temi sinistramente noti, torna a visitare luoghi e mondi - dalla Vienna di inizio Novecento all’America di Henry Ford fino alla Russia dei soviet - nei quali il sentimento antiebraico ha preso piede in ambiti all’apparenza molto diversi e ricostruisce poi con lucidità e acribia le fasi che condussero all’elaborazione e alla realizzazione della Shoah: uno sterminio perpetrato in un’Europa diventata ormai in gran parte antisemita considerato che, nel 1938, la legislazione antiebraica era stata introdotta in tanti Paesi del Vecchio Continente.
FINZI SI CHIEDE, in proposito, come ciò sia stato possibile. Questa la sua risposta: la mancanza di un profondo sforzo analitico da parte della cultura, la latitanza del senso comune, la tendenza ad accettare in maniera acritica i peggiori retaggi del passato hanno consentito all’antisemitismo - per quanto sia stato sempre condannato in maniera solenne - di continuare a rimanere una presenza inquietante nel mondo del secondo dopoguerra: persino in quello, dunque, che pochi anni prima aveva conosciuto i massacri della Shoah. In altri termini, scrive l’autore: «Colpisce che anche tale capacità critica, fino a tempi recenti, si sia applicata e si applichi complessivamente poco nei confronti del pregiudizio antiebraico, della sua persistenza, della sua estensione, della sua presenza proprio tra gli strati colti della società». Difficile non condividere una simile constatazione.
Nel nuovo millennio sembra inoltre essersi realizzata una saldatura tra il tradizionale antisemitismo di origine religiosa e quello di matrice politico-ideologica che trova ad esempio un terreno assai fertile nel mondo arabo nonché nelle periferie di molte città europee abitate da nordafricani. Un atteggiamento che nasce sovente dalla legittima polemica nei confronti delle politiche attuate dallo Stato di Israele e dai suoi governi, ma finisce col prendere di mira le tante comunità israelite sparse per il mondo. Nel frattempo in alcuni Paesi europei, come in Francia, aumentano gli episodi di antisemitismo, gli ebrei si sentono sempre più minacciati e pensano seriamente di trasferirsi in qualche Paese meno inospitale.

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