CULTURA

L’importanza di essere onesto

La nostra tendenza all’altruismo smentisce decenni di ideologia liberista
ANDREA CAPOCCI

La commedia di Oscar Wilde L’importanza di chiamarsi Ernesto racconta i vantaggi e gli svantaggi che derivano dall’essere onesto, o apparire tale, nella società vittoriana. L’opera inizia con il ritrovamento di un portasigarette che, in rappresentazioni più recenti, diventa un portafogli, e ruota intorno agli smarrimenti e ai recuperi di borse attraverso cui i personaggi svelano le ragioni più o meno nobili che guidano i loro comportamenti.
Anche se non è citata nella bibliografia, deve essere stata l’opera di Wilde a ispirare un interessante studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science. Gli economisti Alain Cohn, Michel André Maréchal, David Tannenbaum e Christian Lukas Zünd, che lavorano nelle università di Utah, Michigan (Usa) e Zurigo (Svizzera), hanno misurato sul campo l’importanza di essere onesti o addirittura altruisti.
L’ALTRUISMO è uno dei problemi aperti dell’economia moderna. Secondo Adam Smith, «Non è dalla generosità del macellaio, del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare di ottenere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi». Per la teoria economica dominante, l’egoismo rappresenta l’impulso fondamentale all’attività umana e i comportamenti altruistici sono solo un prezzo che l’individuo è disposto a pagare per evitare che l’eccesso di egoismo metta a rischio la sua sopravvivenza. Ma l’ipotesi di un Homo oeconomicus perfettamente egoista è davvero fondata?
Per raccogliere evidenze empiriche in questo senso, i ricercatori hanno simulato lo smarrimento di un portafogli con una piccola quantità di denaro in diversi luoghi pubblici. Diciassettemila portafogli sono stati lasciati al bancone di bar, alberghi, banche, commissariati, uffici postali o cinema portafogli di 355 città in quaranta Paesi, dichiarando di averli ritrovati casualmente. Poi, hanno misurato la probabilità con cui i cittadini che si trovano per le mani un portafogli altrui lo riconsegnano al proprietario. La percentuale di restituzioni, com’era prevedibile, varia parecchio da un paese all’altro. In Svizzera e Norvegia supera il 70%, mentre in Cina e Marocco, all’altro estremo della scala, non va oltre il 10-20%. L’Italia, con il suo 40%, si piazza poco sotto la media.
Non stupisce che nella ricca e ordinata Svizzera l’altruismo e l’onestà siano valori più diffusi. E avrà fatto piacere ai vertici della fondazione svizzera «Gottlieb Duttweiler» intitolata al creatore della più grande catena di supermercati svizzeri, la cooperativa Migros: i soldi nei portafogli smarriti ce li hanno messi loro.
PIÙ SORPRENDENTE è il risultato successivo della ricerca di Cohn e colleghi. I ricercatori hanno simulato lo smarrimento di portafogli di diverso valore e hanno scoperto che quando - una volta ritrovato - contiene denaro, cresce ovunque la disponibilità a restituirlo. In India, Turchia, Cina, Regno Unito, la probabilità di restituire un portafogli contenente soldi è più doppia rispetto al caso in cui contenga solo documenti e altre informazioni.
Si tratta di una palese contraddizione del principio di egoismo. Dal punto di vista individuale, è un comportamento autolesionista, a meno che non si consideri il vantaggio indiretto di apparire onesti in una società che fa dell’onestà un valore, come nella pièce di Wilde. Se così fosse, questo comportamento apparentemente irrazionale dovrebbe verificarsi più facilmente in Svizzera che in Marocco. Invece, non è così: la tendenza a restituire un portafogli contenente denaro si rileva in quasi tutti i paesi studiati, e persino in Italia. Le sole eccezioni si osservano in Perù e Messico.
PER CAPIRE se si tratti di sincero altruismo, i ricercatori hanno ripetuto l’esperimento inserendo nel portafogli smarrito una chiave, oltre ai soldi. A differenza del denaro, la chiave è utile solo al legittimo proprietario. Restituirla, dunque, è un atto totalmente disinteressato. Ebbene, anche quest’ultima fa aumentare la probabilità di restituzione.
CHE SI TRATTI di risultati sorprendenti è confermato da un’ulteriore indagine: gli stessi ricercatori hanno chiesto a un campione rappresentativo e a un sottoinsieme di economisti esperti di provare a indovinare il risultato dell’esperimento. Entrambi i gruppi hanno risposto maggioritariamente nel modo sbagliato, prevedendo una prevalenza dell’egoismo. Gli economisti, se non altro, sono caduti in errore meno dei non-esperti.
In realtà, l’ipotesi che l’attività economica sia animata da individui perfettamente egoisti e razionali è sempre più traballante anche nella cerchia dei teorici. La picconata più forte avvenne probabilmente nel 2002, quando il premio Nobel per l’economia fu assegnato a uno psicologo, l’israeliano Daniel Kahneman, per le sue ricerche sui comportamenti irrazionali nelle condizioni di incertezza tipiche dei mercati.
EPPURE, LA TEORIA dell’Homo oeconomicus è ancora quella dominante tra chi conta davvero, negli istituti finanziari internazionali e nelle istituzioni sovranazionali. Il motivo è strettamente politico: su quell’ipotesi si basano le teorie economiche che ritengono che il libero mercato sia l’organizzazione sociale più efficiente, con i loro corollari di privatizzazioni, politiche fiscali e strategie monetarie.
Il carattere ideologico della teoria è confermato dal fatto che, se serve a salvare i mercati stessi, cambiare paradigma economico è possibile: le politiche monetarie post-crisi sia negli Usa che in Europa si sono allontanate per anni dal monetarismo di stretta osservanza. Ma non hanno cambiato le regole del gioco finanziario in Europa e negli Usa, e tantomeno in Svizzera.

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