VISIONI

The Divine Comedy, quadri grotteschi post Brexit

Su uno sfarzoso pop rock si incastra la poesia del quotidiano
CECILIA ERMINIirlanda nord



IISi scrive The Divine Comedy ma, a parte un paio di membri durati qualche stagione, è Neil Hannon la vera e sola mente di un progetto musicale che, nel corso degli ultimi 25 anni, ha prodotto dodici album in studio, due lavori operistici e uno da camera, un musical di enorme successo nell’East End, una composizione per organo al Royal Festival Hall e svariate collaborazioni (gli Air e Ute Lemper su tutti). Etichettato superficialmente come «pop da camera», l’universo musicale di Hannon, forse l’ultimo esemplare di decadentismo musicale, si è sempre nutrito di dandysmo, del sound di Scott Walker ma anche di tanto synth-pop anni ’80 che, finalmente libero da costrizioni, esplode in questo tredicesimo (doppio) album appena uscito.
IL CANTAUTORE irlandese scrive i testi, le musiche, canta, suona la chitarra e il piano e produce tutti i suoi album e spesso è la dimensione teatrale dei suoi live a esaltare lo sfarzoso pop-rock cesellato nel corso del tempo. Capace di evolvere dall’immancabile citazionismo alla rielaborazione creativa di un materiale culturale immenso, Hannon ritorna sulle scene con un sorprendente lavoro, Office Politics, che sembra, quasi programmaticamente, sfuggire a qualunque tipo di categorizzazione, in una varietà orchestrale e melodica che, accompagna l’ironico e surreale canzoniere. Hannon esplora gli automatismi sul luogo di lavoro, l’alienazione dell’impiegato, la ferita post Brexit che tarda a cicatrizzare, cesellando piccoli quadri grotteschi e letterari e piccole poesie del quotidiano in un girone infernale di difficile uscita. Il cantautore nord-irlandese rispolvera così amori e strumenti di gioventù: dai suoni elettronici dei Pet Shop Boys (la title-track) ai beat degli XTC e di Paul Simon (il singolo Queuejumper sembra una b-side di Graceland), il glam-rock e il kraut-rock, mentre i testi, come in Absolutely Obsolete e Infernal Machines, dipingono come il potere della tecnologia possa modificare il comportamento umano e di come le situazioni più anacronistiche della nostra società impattano sul quotidiano della middle-class.
FIN DALLA SPLENDIDA copertina, in pieno stile Il lupo di Wall Street di Martin Scorsese, dove telefoni giganti, colori fluo e ingombranti personal computer inghiottono letteralmente gli impiegati di un ufficio, Hannon regala quasi dei toni da commedia ai suoi personaggi, dal buffo uomo di mezza età che «non comprende come funziona il mondo moderno» di I’m A Stranger Here alla splendida ballad Norma and Norman (che sembra una micro pièce di Alan Bennett musicata da Paul McCartney) dove una coppia di pensionati partecipa a delle rievocazioni storiche fra Sassoni e Normanni fino a Philip and Steve’s Furniture Removal Company dove Philip Glass e Steve Reich, in un altro possibile girone dantesco, devono comporre a quattro mani la sigla di una sitcom.

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