ECONOMIA

Ex Alcoa, il costo dell’energia mette a rischio la riapertura

La vertenza si trascina da quasi 10 anni. Oltre 400 operai ancora in attesa e senza Cig
ELEONORA SAVONAitalia/Portovesme (sardegna)

È la vertenza più lunga nel già triste panorama industriale italiano. La lotta degli operai dell’ex Alcoa di Portovesme - diventata persino una sorta di sit com tv grazie a Diego «Zoro» Bianchi - va avanti oramai da quasi 10 anni. Questa mattina saranno come al solito ben visibili nella manifestazione di Milano nel giorno dello sciopero generale. Ieri sono partiti in aereo con scalo a Roma per pagare meno. La delegazione sarda salirà al Nord per far sentire la propria voce, per ricordare l'emergenza lavorativa del territorio.
ERA IL 9 MAGGIO quando all'ultimo tavolo di crisi al Mise, al quale erano presenti oltre al governo e alla regione Sardegna anche i vertici dell'azienda Sider Alloys (attuale proprietaria della ex Alcoa), l’Enel e delegati sindacali, si discuteva dell’accordo bilaterale sulla fornitura energetica, nodo finale da sciogliere dopo mesi e mesi di trattative per la ripartenza della produzione industriale. Il costo dell’energia, sulla base degli accordi presi lo scorso anno, costerebbe alla società svizzera più di 15 euro a MegaWatt, che si traduce in 30 milioni di euro su base annua. Non sono bastati i 135 milioni di euro di investimenti fatti, dei quali otto a fondo perduto, 84 a tasso agevolato, 20 stanziati dall’Alcoa e il restante dalla Sider Alloys. E neanche le prime 70 assunzioni con cui la società svizzera ha fatto partire i lavori di pre-revamping (il progetto definitivo prevede il reinserimento di 400 lavoratori a seguito del revamping, ossia la manutenzione necessaria per la ripartenza dei macchinari di produzione di alluminio).
LA RIAPERTURA dell’ex Alcoa non è ancora una certezza. La questione energetica risulta di fondamentale importanza soprattutto alla luce del Piano nazionale integrato per l’energia e l’ambiente reso pubblico lo scorso 8 gennaio, firmato dal ministro dell'Ambiente Sergio Costa e dal ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio: entro il 2025 le otto centrali a carbone in Italia saranno spente. Due di queste, di proprietà dell’Enel, alimentano la Sardegna. Inoltre, l’isola non ha un accesso diretto alla rete nazionale del gas, con la conseguenza che il prezzo di quest’ultimo non è allineato, ma risulta maggiorato.
«IL GOVERNO DEVE FARCI SAPERE come intende affrontare i problemi energetici dell’isola - dice il segretario regionale Cgil Roberto Forresu - non è stata colta la dimensione dell’emergenza: noi abbiamo necessità che i lavori di revamping partano subito, ma questo può avvenire solo su condizioni garantite dal punto di vista del costo dell’energia». Quello che di fatto è l’ultimo ostacolo mette in discussione la ripartenza stessa del polo industriale e a distanza di un mese ancora non arrivano le risposte attese.
La convocazione del prossimo tavolo di crisi è slittata dal 12 al 26 giugno, nonostante lo scorso maggio un centinaio di ex lavoratori, fuori dal Mise, richiedeva un incontro immediato. «Non è una bella figura quella che stanno facendo le istituzioni - continua Forresu -. Abbiamo abbandonato il presidio fuori dal Mise perché era stato garantito un tavolo più vicino. L'unica possibilità è che si presentino con delle soluzioni reali per garantire le condizioni necessarie ad un rilancio industriale serio». In discussione anche gli ammortizzatori sociali sbloccati un mese fa: l’unico obiettivo raggiunto nell'ultimo tavolo era stato proprio il via libera del decreto firmato da Di Maio il 29 aprile, in esame presso la Corte dei Conti. «Gli ammortizzatori sono stati sbloccati, ma ancora non sono stati messi in pagamento, sono ancora incastrati in un vortice burocratico», conferma Forresu. E circa 400 ex lavoratori, circa 400 famiglie, da sei mesi senza alcun sostegno economico, non possono fare altro che aspettare ancora. Come fanno già da ben 10 anni.

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