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Noa, storia sbagliata di un suicidio

ELEONORA MARTINIOLANDA/ARNHEM

Una storia sbagliata, finita con un fiume di inchiostro (si potrebbe dire parafrasando Fabrizio De André). È la storia di Noa Pothoven, che ha occupato le prime pagine di quasi tutti i giornali italiani, ieri. È la storia di una ragazza olandese di quasi 18 anni (li avrebbe compiuti a dicembre), morta suicida (aveva smesso di mangiare e bere da giorni) nella sua abitazione di Arnhem e non per mano eutanasica come hanno erroneamente (e consapevolmente, a volte, ne abbiamo le prove) scritto tutte le maggiori testate giornalistiche italiane, e non solo. Invece, a conferma della notizia così come l’ha data in perfetta solitudine il manifesto, è arrivata ieri tra l’altro anche la nota del ministero della Salute olandese che comunica di aver avviato «un’ispezione sanitaria per verificare se è necessario aprire un’indagine» non sull’eutanasia, che non c’è stata, ma sul «tipo di cure ricevute da Noa e se ci sia stato qualche errore» nei trattamenti somministrati alla giovane che da anni era affetta da anoressia e depressione, in seguito al trauma di due stupri subiti da bambina, e che era stata già ricoverata molte volte, ma solo nel tentativo di evitarle il suicidio.
INFATTI LA RAGAZZA aveva più volte chiesto di poter essere aiutata a morire, cosa a cui ambiva ormai senza tentennamenti, come aveva scritto nel suo libro autobiografico Winner of leren (Vinci o impara) e sui suoi profili social, dove il suo caso aveva prodotto un vasto dibattito tra i follower. Già nel 2018, intervistata dalla testata de Gelderlander, Noa aveva raccontato di essersi rivolta due anni prima, di nascosto dai genitori, alla clinica Levenseind de L’Aja, dove opera la Fondazione Levenseindekliniek, per chiedere di ottenere l’eutanasia. Ma la risposta era stata: «No».
«PENSANO che sia troppo giovane per morire - aveva riferito la teenager olandese ai giornalisti - Pensano che dovrei completare il trattamento per curare il trauma e dicono che il mio cervello deve prima completare la crescita. Cosa che avviene fino ai 21 anni. Sono devastata, perché non posso aspettare così tanto tempo».
IN OLANDA, dove l’eutanasia è legalizzata dal 2002 (e non praticata nell’illegalità, come in Italia) ed è concessa anche ai minorenni in casi particolarmente gravi e previo consenso dei genitori, i giornali hanno raccontato questa "storia sbagliata" nel modo giusto. Hanno riferito che la ragazza era stata perfino esentata dall’obbligo scolastico, e non frequentava più la scuola. Che era stata ricoverata tante volte in trattamento obbligatorio e che una volta, all’ospedale Rijnstate di Arnhem, l’avevano dovuta indurre in coma farmacologico per nutrirla artificialmente con una sonda. Addirittura i suoi genitori, che avevano visto la figlia cambiare improvvisamente sotto i loro occhi ma che per molto tempo nulla avevano saputo degli stupri subiti da Noa, avevano infine cercato perfino un ospedale che la trattasse con l’elettroshock.
I QUOTIDIANI olandesi, invece di inveire contro l’eutanasia o il suicidio assistito come hanno fatto politici e prelati in Italia - «È una grande perdita per qualsiasi società civile e per l’umanità; dobbiamo sempre affermare le ragioni positive per la vita», ha affermato per esempio la Pontificia Accademia per la Vita - hanno ricordato che Noa «ha dovuto aspettare un anno e mezzo per un posto in una clinica dove curano i disordini alimentari, a Zutphen». E che, come aveva riferito un anno fa la madre della ragazza, Lisette, «per motivi di sicurezza, Noa è stata ammessa in tre istituti per la cura della gioventù negli ultimi anni, ma in realtà dovrebbe essere ricoverata in un istituto chiuso per la psichiatria infantile. Ma ci sono enormi liste d’attesa lì. Vogliamo un posto per lei dove possa stare e in cui vengano affrontati tutti i suoi problemi fisici e mentali. Ma non ce ne sono, nei Paesi Bassi». E neppure in Italia, se è per questo.
SI POTREBBE continuare a lungo, a raccontare la "storia sbagliata" di Noa Pothoven. Ma di fiumi d’inchiostro se ne sono già spesi abbastanza. Non rimane che lasciare la parola a chi, come il radicale Marco Cappato, promotore della campagna «Eutanasia Legale», sottolinea che il lasciarsi morire di fame e di sete è una «possibilità contemplata anche in Italia». E che anche da noi la legge prevede l’impossibilità di poter intervenire con l’idratazione e la nutrizione forzata, «a meno di Trattamento sanitario obbligatorio su persona incapace di intendere e di volere». «È bene comunque ricordare - aggiunge Cappato - che le pdl in discussione nel Parlamento italiano, su esplicito richiamo della Corte costituzionale, a partire dalla proposta di legge di iniziativa popolare, prevedono la possibilità di accesso al percorso eutanasico solo per le persone maggiorenni e portatrici di malattie fisiche terminali o inguaribili».
Infatti in questi giorni in Commissione Affari sociali, alla Camera, è stato avviato l’iter per una legge sul suicidio assistito, come caldeggiato dalla Consulta che, trattando il caso di Dj Fabo, al legislatore italiano aveva dato tempo un anno per colmare il vuoto normativo. Ieri 17 deputati del M5S hanno presentato un’altra proposta di legge «per consentire di compiere un passo avanti in tema di diritti civili e di libertà». Perché, scrivono nella premessa alla pdl, «nelle società moderne e secolarizzate l’opinione pubblica è sempre più favorevole a richiedere una morte assistita, dignitosa e, quando possibile, libera da una sofferenza inutile. C’è un diritto alla vita ma anche un diritto alla morte».

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