POLITICA

Radio Radicale, Di Maio affabula: «Tutelarla, ma senza aiuti statali»

AL VIA TRE GIORNI DI MOBILITAZIONE
ELEONORA MARTINIITALIA/ROMA

«Non ho nessun interesse a far chiudere Radio Radicale ma bisogna trovare una soluzione che tuteli i posti di lavoro senza aiuti diretti dello Stato. Una soluzione che tuteli tutte le radio italiane e non una sola». Il giorno dopo dello stop definitivo da parte delle Commissioni Bilancio e Finanza della Camera agli emendamenti (leghisti, in particolare) del Dl Crescita che prorogavano di sei mesi la convenzione con Radio Radicale, il ministro del Lavoro Luigi Di Maio si esercita nell’affabulazione. Ma non spiega perché, ad esempio, la piattaforma Rousseau può vivere con i fondi pubblici prelevati dai compensi dei parlamentari pentastellati, mentre il servizio pubblico fornito da 43 anni dall’emittente può essere azzerato d’emblée.
Di Maio però cerca di far dimenticare l’ostinazione rabbiosa con la quale il M5S (e in particolare il sottosegretario con delega all’Editoria, Vito Crimi) ha opposto nelle Commissioni un muro invalicabile contro la richiesta di tutti gli altri gruppi parlamentari di portare la discussione in Aula. E così il vicepremier rivolge un appello al deputato dem Roberto Giachetti, ricoverato in ospedale, affinché interrompa lo sciopero della fame e della sete che sta portando avanti da venerdì scorso. «Sospendo lo sciopero della sete. Sono un nonviolento, non un suicida – fa sapere via Twitter il radicale cresciuto alla scuola nonviolenta di Marco Pannella - Proseguo lo sciopero della fame. E a chi dice che Radio Radicale non deve essere sostenuta dallo Stato, consiglio di consultare l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: quella radio svolge un servizio pubblico». Più dura la risposta di Emma Bonino, leader di +Europa: «Siamo i primi a volere una gara e la chiediamo da 20 anni. Chiudere Radio Radicale mostra la natura squisitamente autoritaria di un partito, il M5S, che ha bisogno, per sopravvivere, di spacciare le menzogne per verità». Da ieri poi il Partito Radicale ha dato il via a tre giorni di mobilitazione (ogni sera, fino a venerdì, presidio davanti alla sede romana di via di Torre Argentina) per tenere accesi i riflettori sull’emittente che ha ancora poche settimane di autonomia finanziaria.
Eppure, mentre con una mano il M5S fermava la mediazione proposta dalla Lega che avrebbe portato all’esame dell’Aula la proroga della convenzione scaduta il 20 maggio, in modo da dare tempo al Mise di indire una nuova gara, con l’altra mano i leader pentastellati acconsentivano a riaccogliere, tra gli altri, due emendamenti firmati dal capogruppo di Leu, Federico Fornaro, e scartati in un primo momento: non solo quello che sopprime i tagli al fondo per il pluralismo inseriti nella legge di bilancio 2019 e che mette a rischio la vita del manifesto, di Avvenire, Libero e di altre cooperative editrici, ma anche quello che salva i contributi diretti per l’editoria a favore di Radio Radicale. Che sia una svista o una ripicca specifica contro la campagna di protesta radicale che ha raccolta decine di migliaia di firme, lo sapremo tra poco. Dopo le elezioni europee.

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