CULTURA

Il ruggito d’oro di Arthur Jafa, artista e filmmaker afroamericano

58/A BIENNALE DI VENEZIA
TERESA MACRÌ

La Giuria della 58/a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia - composta da Stephanie Rosenthal, Cristiana Collu, Defne Ayas, Sunjung Kim e Hamza Walker - ha attribuito il Leone d’oro come miglior artista partecipante alla mostra May You Live In Interesting Times ad Arthur Jafa (1960, Tupelo, Mississipi), per aver affrontato col video The White Album (2018) i temi razziali.
MA CHI È QUESTO enfant prodige afro-americano, filmmaker e produttore? Jafa sembra essere una risposta al cosiddetto New Black Film Renaissance (di cui Steve McQueen ne è il perno) arresosi all’industria hollywoodiana. Insieme ad altri registi come Kahlil Joseph, Malik Sayeed, Bradford Young, Terence Nance e Ja’Tovia Gary, esplora il black cinema non commerciale che come lui stesso afferma, «replica la potenza, la bellezza e l’alienazione della musica nera».
I suoi sono in gran parte film sperimentali ed estatici, liberi dagli stereotipi di Hollywood, dai cliché e dalle strutture narrative tradizionali. Jafa, inoltre, ha coprodotto insieme alla regista black Julie Dash, Daughters of the Dust (1991) il film indipendente (Gran premio della giuria al Sundance) ed è, insieme a Elissa Blount Moorhead e Malik Sayeed, il co-fondatore di Tneg, uno studio per la ricerca e la promozione del black cinema e della black music del 21mo secolo. Tra l’altro, Tneg ha prodotto il video per Jay-Z di 4:44.
JAFA, CHE FA PARTE della scuderia di Gavin Brown Enterprise, ha partecipato a numerosissime mostre internazionali e legittima una nuova visione di un cinema impuro che miscela e frulla video clip presi da tv, cellulari, internet e documentari, esplorando il concetto di razzismo negli Usa.
Il suo penultimo film, che lo ha conclamato come una star dell’arte, Love Is The Message, The Message Is Death (2017) è ispirato al gospel di Kanye West di Ultralight Beam: è una fantastica riappropriazione di filmati trovati, che tracciano l’identità afro-americana attraverso un vasto spettro di immagini contemporanee. Dalle fotografie dei leader dei diritti civili filigranate da Getty Images alle vedute dall’elicottero delle rivolte di Los Angeles fino a un’ondata di corpi che ballano a The Dougie. Il video di 7 minuti, meticolosamente modificato, sospende gli spettatori in un montaggio emotivo che è un testamento alla capacità di Jafa di individuare, esaminare e rivendicare le modalità e le strategie di rappresentazione dei media della Blackness.
Alla mostra veneziana curata da Ralph Rugoff, Jafa è presente sia al Padiglione centrale con la potente installazione Big wheel and I (2018) che all’Arsenale con il film The White Album (2018). In quest’ultimo ibrida brani musicali eclettici con una serie di segmenti video provocatori che affrontano le spinose questioni intorno al binomio razza e violenza.
NELL’ATTUALE REGIME in cui l’identità scatena il caos su di noi e su se stesso, Jafa cerca le motivazioni della rabbia e della paura che lo sommuove. Il collage di video musicali, Cctv e filmati di cellulari, clip virali e frammenti di documentari sono montati come una sorta di film-saggio, che organizza una narrazione ipnotica, concentrata sulla dinamica tra razza e potere. The White Album è anche un modo di cercare di riconciliare la sua complicata relazione con la whiteness.
Nel video di quaranta minuti, le sequenze intervallate da primi piani estremi di vari uomini e donne, il cineasta utilizza un editing che è ispirato al remix del leggendario dj Larry Levan (sperimentatore di mixaggio e pioniere del garage house style), noto per i suoi remix e set di dischi.

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