CULTURA

Le voci della disobbedienza

Da domani a lunedì la kermesse che ha scelto come «protagonista» la lingua spagnola
FRANCESCA LAZZARATOITALIA/torino

Non è una sfida da poco scegliere come ospite una lingua, invece che un paese. Tanto più se la lingua in questione è lo spagnolo, parlato da seicento milioni di persone in ventidue paesi, o meglio ventitré, se è vero che gli Stati Uniti, lo voglia o no il loro attuale presidente, nel 2060 diventeranno la seconda fra le nazioni hispanohablantes. Una lingua arrivata nel nuovo continente «con la conquista e con la chiesa» per imporsi «non senza dolore, non senza lotta, non senza resistenza, sulle lingue originarie» (lo ha ricordato Maria Teresa Andruetto, a chiusura dell’ottavo Congreso de la Lengua Española tenutosi in Argentina dal 27 al 30 marzo), e che in molti paesi dell’America latina, dove risiede il novanta per cento di coloro che la parlano, si preferisce chiamare castellano. Una lingua-spugna che, una volta varcato l’oceano, ha assorbito le voci dei migranti e dei popoli originari, subendo infinite ibridazioni, facendosi meticcia e disobbediente, quindi più ricca e più viva, e incarnandosi in tante e differenti letterature, oggetto quasi ovunque di un interesse sempre maggiore, anche se ancora inadeguato alla loro eccezionale e creativa vitalità.
A DIMOSTRAZIONE di questo interesse, Il Salone del Libro di Torino ha audacemente deciso di introdurre i suoi visitatori in un universo culturale talmente vasto e differenziato che è davvero difficile renderne conto in pochi giorni, sia pure attraverso una quantità di incontri e grazie a collaborazioni fruttuose come quella con il Festival Encuentro - che da qualche anno, partendo da Perugia, presenta le letterature e gli autori di lingua spagnola - o con l’Istituto Cervantes, istituzione attivissima e ramificata. Anche se da una kermesse come il Salone non ci si può aspettare se non una serie di rapidi assaggi, l’iniziativa è senz’altro stimolante, soprattutto se la si vede nell’ottica proposta dall’antropologa argentina Rita Segato, che due settimane fa ha aperto la Feria del Libro di Buenos Aires con un discorso di fuoco, affermando che l’Europa, sempre più chiusa nella solitudine di una «nevrosi del controllo, monoteista e bianca», sembra non sapersi specchiare «nel riflesso che potrebbero offrirle gli occhi dell’altro».
Guardarsi più da vicino, scoprirsi a vicenda per intaccare finalmente luoghi comuni, ovvietà, pregiudizi: la Plaza de los lectores allestita dal Salone serve anche a questo, e, se da una parte si nutre di conferme e di celebrazioni del già noto, dall’altra non manca di presentare autori da noi sconosciuti: per esempio Edurne Portela (Lindau pubblica il suo Meglio l’assenza, storia di una famiglia basca negli anni del terrorismo) ed Elvira Navarro, una delle migliori narratrici spagnole di oggi, della quale Liberaria ha scelto La lavoratrice, che indaga su vite rese instabili dalla crisi economica e dal disagio mentale. Anche il messicano Eduardo Rabasa, quarantenne che tra le sue molte identità (musicista, traduttore, fondatore di un’ottima casa editrice indipendente, Sexto Piso, che dal Messico ha «colonizzato» la Spagna) include anche quella di scrittore, appare per la prima volta in italiano con un romanzo ironico e paradossale pubblicato da Sur, Cintura nera, sull’ipersfruttamento e la precarietà indotti dal neoliberismo.
Nuovissima, poi, è la debuttante venezuelana Karina Sainz Borgo, il cui drammatico romanzo, Notte a Caracas, è in corso di traduzione in ventidue paesi grazie a una buona qualità letteraria, ma anche all’interesse che suscitano le complicate vicende del suo paese. Da non perdere, infine, l’argentina Maria Sonia Cristoff, presentata da La Nuova Frontiera e autrice del bellissimo Falsa Calma, raccolta di crónicas sulla Patagonia dimenticata.
Accanto questi nomi ce ne sono alcuni che anche i lettori italiani conoscono bene: Enrique Vila-Matas, Antonio Muñoz Molina - del quale la casa editrice romana 66thand2nd sta giustamente riproponendo i romanzi - Fernando Savater, l’inevitabile Luis Sepúlveda, Alan Pauls, presente tanto in veste di scrittore che di critico e saggista raffinato, che parlerà di "Trance" (Sur) , la sua deliziosa autobiografia di lettore. Altri scrittori, invece, il nostro pubblico sta imparando a conoscerli e ad apprezzarli solo da qualche anno, come la cilena Nona Fernández (esponente di rilievo del poderoso drappello femminile che oggi presidia la letteratura latinoamericana), l’argentina Claudia Piñeiro, autrice di polizieschi in cui non manca mai l’elemento sociale e politico, oppure Guadalupe Nettel e lo straordinario Emiliano Monge, due messicani pubblicati da La Nuova Frontiera, e il loro connazionale Juan Villoro, intellettuale tra i più influenti, romanziere e ironico cronista.
OLTRE A FARCI INTRAVEDERE l’evoluzione e le tendenze delle rispettive letterature, nonché i rapporti che fra esse intercorrono (l’uso della medesima lingua, sia pure con mille varianti, non comporta necessariamente l’esistenza di un’identità comune), la presenza di certi autori servirà anche a sottolineare il lavoro di case editrici come Sur, La Nuova Frontiera, Arcoiris, gran vía, Edicola Ediciones, piccole imprese che non si stancano di scommettere su autori e testi di qualità. Un fenomeno relativamente recente, quello degli editori specializzati in letterature di lingua spagnola, che testimonia la capacità di proporre il nuovo, ma anche quella di recuperare classici scomparsi, trascurati o ignorati.
Al di là degli incontri con i singoli scrittori e con chi li sceglie, li pubblica e li traduce, nei diversi dibattiti verranno sfiorati, si spera, anche alcuni temi la cui connotazione politica, prima ancora che culturale, non può sfuggirci. Per esempio quello delle concentrazioni editoriali, particolarmente esasperato nel mondo di lingua spagnola, dove Penguin Random House e Planeta si spartiscono più della metà del mercato, divorando un marchio dopo l’altro tanto in Spagna (l’ultimo acquisto spagnolo di Prh, la florida Editorial Salamandra, è di pochi giorni fa) che in America Latina, sovrastando una miriade di case editrici indipendenti, spesso piccolissime e di stupefacente bravura e resilienza.
LE CONSEGUENZE non sono di poco conto, e riguardano tanto un sistema di circolazione dei testi che in America Latina vede sfavoriti gli editori nazionali e rende difficile la loro presenza nei paesi vicini, quanto la richiesta sempre più insistita, da parte dei grandi gruppi, del ricorso a una lingua neutra, uniformata ed esportabile ovunque, a beneficio di un maggior numero di «utenti» e in funzione di un crescente profitto.
Si torna così alla questione della lingua, universo in espansione eppure insidiato, oggetto di rivendicazioni che rimbalzano da secoli tra «le due rive», ma che la globalizzazione sembra inasprire: si va dalla rivolta contro la normatività della Real Academia Española (anche se a stabilire le regole è oggi la Asociación de Academias de la Lengua Española), alla difesa a oltranza delle peculiarità linguistiche nazionali, all’acceso dibattito sul «linguaggio inclusivo», già ampiamente usato in alcuni ambiti, ma difficile da trasferire in quello letterario.
Tra tante polemiche, rimane la consapevolezza, nota Andruetto, che la forza dello spagnolo «risiede nella possibilità di accettare la potenza del diverso e del molteplice, la ricchezza del movimento permanente». E da domani i visitatori del Salone potranno cominciare a rendersene conto, almeno un po’.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it