INTERNAZIONALE

Haftar bombarda Tripoli

300 i morti dall’inizio dell’offensiva. Serraj: «È strage», civili evacuati. E l’inviato Onu Salamè «sdogana» il generale della Cirenaica
RACHELE GONNELLILIBIA/TRIPOLI

Sui social e sui siti degli opposti fronti che si combattono a Tripoli rimbalzavano ieri due immagini. La prima, sui profili delle milizie che fanno capo al premier Serraj, ritrae Salah Badi, comandante che ha già affrontato le truppe di Haftar nel 2014, ma che è anche iscritto nella lista americana dei criminali di guerra per stragi di civili «indiscriminate». In foto e video si vede Salah Badi, pochi capelli bianchi e fisico corpulento, in visita ai giovani miliziani al fronte per dare indicazioni e rinforzare gli animi. La seconda foto significativa, sui siti del fronte opposto, mostra il generale Haftar che sorride ieratico e stringe la mano al portavoce della Noc, la compagnia petrolifera statale, Jadallah al Awakli, dopo avergli assicurato che tutte le infrastrutture energetiche del Paese sono al sicuro sotto la protezione del suo Esercito nazionale libico.
LO SCATTO di Awakli e Haftar arriva dopo che il presidente della compagnia Noc Mustafà Sanallah aveva espresso la sua crescente preoccupazione per la sicurezza in particolare dei terminal di Sidra e Ras Lanuf in Tripolitania. La notte scorsa un commando di cinque jeep ha tentato di assaltare l’impianto petrolifero Sharara, il più grande del Paese, copartecipato da varie compagnie estere tra cui la spagnola Repsol e la francese Total. I soldati dell’Lna, che da febbraio hanno il controllo dei pozzi del Fezzan, hanno risposto al fuoco e messo in fuga gli assalitori, senza spargimento di sangue.
A Tripoli la guerra prosegue come guerra di posizione, con postazioni perse e riguadagnate nel giro di poche ore, e scontri a fuoco concentrati soprattutto a Zatarna e Yarmuk, sempre nell’area sud della città.
SABATO NOTTE un bombardamento intenso, probabilmente ad opera di droni - visto che i caccia di Haftar non riescono a volare di notte - ha colpito aree già in gran parte evacuate dai civili a Tajoura e Ein Zarah. Si sono rincorse voci di stragi di civili e il Qatar ha appoggiato le proteste di Serraj che denuncia aerei stranieri agli ordini del generale cirenaico, di civili disarmati come bersaglio e di «silenzio e lassismo dell’Onu» di fronte alla città offesa. Domenica scorsa i morti accertati dei raid notturni sono risultati essere 11 e una trentina i feriti, ma non sono stati segnalate vittime civili. I civili morti, ha chiarito l’Unhcr-Onu, nelle quattro settimane di battaglia sono 22, tra cui un bambino e tre minori feriti; il totale dei morti ieri è arrivato a 300.
IN UN'INTERVISTA a France Inter l’inviato speciale Onu Ghassam Salamé ha sottolineato che Haftar «non è Abraham Lincoln, non è un grande democratico, ma ha delle qualità e vuole unificare il Paese». «Vuole anche che il potere non sia nelle mani dei gruppi armati, che è anche una qualità», ha riconosciuto. «Ma come lo farà? A vederlo agire si può avere paura dei suoi metodi perché, in effetti, dove governa non lo fa delicatamente, ma con il pugno di ferro», ha proseguito Salamé. Il problema si sposta quindi, per quanto concerne il ruolo del generale, al dopoguerra, per adesso Salamé attenua il giudizio sull’offensiva in corso fino praticamente a sdoganarla.
CHI INVECE ribadisce tutto il suo appoggio a Serraj, al suo governo nato dagli accordi di Skhriat nel 2015, e alle milizie che a Tripoli la facevano da padrone, è il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. La Turchia - è la sua dichiarazione di domenica sera - assicura «tutto il suo potenziale nello sforzo ad impedire un golpe in Libia e ad assicurare la stabilità del Paese». Erdogan mette in guardia la comunità internazionale sul rischio che la Libia «si trasformi in una nuova Siria». Il capo di Stato neo-ottomano ripete - come tutti gli altri - che «non esiste una soluzione militare alla crisi libica», ma di certo sulla Siria non ha avuto una posizione neutrale. Il portavoce di Haftar Ahmed Mismari ora lo accusa di aver inviato l’intelligence turca a coordinare le milizie di Tripoli e di aver favorito, attraverso la Fratellanza musulmana, l’arrivo tra le loro fila di jihadisti proprio dalla Siria.

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