INTERNAZIONALE

Il fattore salafita dei Madkhali giocato su entrambi i fronti libici

LE INTERFERENZE DI EMIRATI ARABI E ARABIA SAUDITA
FARIAN SABAHIlibia/arabia saudita

Già lo sapete, l’Arabia Saudita e gli Emirati sono sempre più coinvolti in Libia dove hanno sposato la causa di Haftar, come fanno peraltro Mosca e Parigi seppur con modalità diverse: i russi vorrebbero sostituirsi agli americani nel ruolo di moderatori e, come i francesi, vorrebbero evitare spargimenti di sangue per non screditare il generale presso la popolazione. Il problema è che Haftar non riesce ad avanzare con la rapidità auspicata, e non lo si può definire il salvatore della patria. All’orizzonte si profila una lunga guerra, di logoramento, in cui gli attori sulla scena sono troppi.
IL GENERALE HAFTAR non è riuscito a trasformarsi in uomo politico. Pur essendo un opportunista, spregiudicato, non ha le doti necessarie perché... non sa trattare. 75 anni, non ha tempo da perdere e rischia il tutto per tutto. Si fa portavoce di interessi molteplici, ma non è abbastanza forte. E comunque la Libia non è paese da tenere con le armi. Per questo, l’Arabia Saudita e gli Emirati interferiscono intrecciando gli aiuti militari ed economici alla diffusione di un Islam intransigente. Come se il salafismo potesse essere un’alternativa alla democrazia e all’Islam politico che, per quanto criticato, in questi decenni ha provveduto al welfare di paesi come l’Egitto.
FACCIAMO UN PASSO INDIETRO. Le primavere arabe del 2011 avevano spaventato l’Arabia Saudita e gli Emirati perché proponevano una soluzione democratica, alternativa rispetto ai regni assoluti di sovrani e principi. I sauditi hanno risposto in modo diverso, con l’obiettivo di mettere a tacere il dissenso e farla finita con l’Islam politico dei Fratelli musulmani e di un certo sciismo.
Ecco qualche esempio. In Bahrein, hanno mandato i carri armati in piazza delle Perle, appoggiando la dinastia sunnita al-Khalifa nella repressione del dissenso che nell’arcipelago era soprattutto di matrice sciita, il tutto con la complicità degli americani, che a Manama ormeggiano la V flotta e di altri paesi che ai sauditi vendono miliardi di dollari in armamenti e hanno come priorità la Formula 1 che si è corsa a fine marzo. In Yemen, di fronte all’avanzata delle milizie Houthi, che professano lo sciismo nella declinazione zaidita, i sauditi hanno scatenato bombardamenti che vanno avanti da quattro anni, facendo 80mila morti tra i civili e causando un’epidemia di colera.
«NEL CASO DELLA LIBIA, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi agiscono anche attraverso il movimento salafita dei Madkhali», spiega lo studioso Arturo Varvelli, autore di diversi volumi tra cui L’Italia e l’ascesa di Gheddafi. Per avere la certezza di vincere sempre e comunque, «utilizzano questo movimento salafita estremo su entrambi i fronti». Accozzaglia di mercenari, vecchie unità e milizie che all’occorrenza vi hanno aderito, l’esercito del generale Haftar incorpora tra le sue fila anche la brigata Tawhid, mentre il governo di al-Serraj a Tripoli è in qualche misura ostaggio della cosiddetta brigata per la prevenzione.
Fondatore del movimento salafita Madkhali è lo studioso Rabee al-Madkhali, già a capo del dipartimento di Studi sulla Sunnah all’Università islamica di Medina. 88 anni, era stato dapprima un oppositore della dinastia saudita, per poi invertire rotta a inizio anni ’90 tant’è che i Saud lo hanno utilizzato per contrastare le crescenti critiche nei loro confronti. Critiche dovute alla presenza dei soldati americani, ai crescenti problemi economici e alla normalizzazione dei rapporti con Israele.
«UNO STUDIOSO MUSULMANO al soldo dei potenti», così lo ha definito il politologo francese Gilles Kepel. Negli anni ’90 il movimento Madkhali si è diffuso in Egitto, in Arabia Saudita e nel resto del Golfo in risposta all’attivismo dei Fratelli musulmani sostenuti dal Qatar e della Turchia la cui colpa è, per i Madkhali, la partecipazione ai processi democratici. In realtà, continua Varvelli, «la presenza dei Madkhali in Libia precede le primavere arabe: negli anni ’90, ad invitarli era stato Gheddafi con l’obiettivo di contrastare i Fratelli musulmani percepiti come una minaccia».
I MADKHALI meritano una riflessione perché nel panorama salafita rappresentano un caso a sé giacché il loro principio di base è l’obbedienza incondizionata ai regnanti anche qualora esercitino violenza estrema e ingiustificata nei confronti dei loro sudditi, a patto che non commettano atti di infedeltà. I Madkhali sono assolutamente contrari alle elezioni e a ogni forma di partecipazione democratica, e infatti all’inizio delle primavere arabe avevano emesso una serie di sentenze per dichiarare "sedizione" (fitna) la rivoluzione contro Gheddafi, chiedendo ai libici di starsene a casa. Ma, lo sappiamo, i libici non hanno dato retta ai decreti religiosi dei salafiti.

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