EUROPA

Parlamento quasi rassegnato alla «Halloween deadline» (e al voto a maggio)

LE REAZIONI DALLA GRAN BRETAGNA
VALERIO RASPELLIeuropa/gb/londra

Nel «caos totale e in costante peggioramento» della Brexit vista da oltremanica l’ennesima giornata campale si è chiusa senza sussulti.
LA PREMIER Theresa May rientrava da Bruxelles rimangiandosi una quantità notevole di promesse fatte anche poche settimane fa: «Rispetteremo le scadenze», «Niente estensione dei termini», «Non parteciperemo alle elezioni europee». Tutto rimangiato a causa di uno stallo politico che permane e che non dà alcuna garanzia sul futuro e sul rispetto del nuovo termine accordato da Bruxelles: il 30 ottobre già ribattezzato «Halloween dealine».
Nel Question time pomeridiano la traballante premier ha continuato nella sua litania: «Rispetteremo la volontà degli elettori per una Brexit ordinata, troveremo la strada per approvare in tempi brevi un accordo», dicendosi poi «frustrata» dell’ulteriore rinvio, pur sottolineando che si tratta di un rinvio «flessibile», con la possibilità di non partecipare al voto europeo se un accordo sarà ratificato per il 22 maggio», trovandosi ad affrontare un fuoco di fila quasi rassegnato da parte dei Brexiter del suo partito. Consci di non avere i numeri per sostituirla i vari Boris Johnson e Jacob Rees Mogg si sono astenuti dal parlare lasciando la ribalta a esponenti di secondo piano che comunque hanno chiesto le dimissioni della premier. Per loro l’accordo con Bruxelles è una chiara sconfitta anche perché se si tenessero veramente le elezioni europee i tempi per uscire dai Tory, presentare un nuovo partito che non sia l’Ukip di Farage sono troppo stretti.
LO SCONTRO PIÙ DURO affrontato da May è stato quello con l’alleato decisivo al momento della nascita del suo governo: il leader parlamentare del Dup Nigel Dodds che ha chiesto esplicitamente alla premier di non allungare fino all’autunno i lavori del parlamento: un chiaro avviso di sfratto per l’inquilina di Dowing Street.
A dimostrazione della frattura con May, negli stessi minuti la leader dei nordirlandesi del Dup, Arlene Foster, era a Bruxelles a discutere con il capo negoziatore Ue per la Brexit, Michel Barnier: «L’incontro con Barnier è stato utile. È importante che Bruxelles capisca perché gli unionisti rigettano l’Accordo di recesso. Nuove barriere tra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito sono inaccettabili», riferendosi al backstop, il vero problema irrisolto di qualsiasi accordo che non contempli l’unione doganale.
E PROPRIO L’UNIONE doganale ciò che punta ad ottenere Jeremy Corbyn - un altro che a Bruxellea a discutere con Barnier è andato varie volte - da Theresa May assieme al «voto popolare», confermativo dell’accordo o nuove elezioni che sia.
La strategia del leader laburista - contestata da chi nel suo partito chiede un nuovo referendum - è chiara: ottenere un accordo molto vicino alle proprie posizioni (votate dall’ultimo congresso) ottenendo da May nuove elezioni oppure dimostrare che non esiste alcuna maggioranza possibile nell’attuale parlamento.
Il fattore tempo non pesa sui Laburisti anche perché l’ultimo sondaggio di Britain Elects dà il partito di Corbyn stabile al 41% con i Tory al 37% e soprattutto gli scissionisti del Tig (The indipendent Group) lanciato da Chuka Umunna all’1 per cento.
In tutto questo i colloqui governo-Labour vanno avanti con poca convinzione e ancor meno fretta. Un portavoce del primo ministro ha lasciato intendere che la pausa per le feste, con la ripresa dei lavori in parlamento il 23 aprile, potrebbe non essere tempo sprecato.
«I COLLOQUI non devono andare avanti per forza - ha detto -. Ognuno dovrebbe prendere una pausa nel modo che ritiene più appropriato». E non è escluso che anche May si prenda una piccola vacanza, ha risposto in proposito il portavoce. Una posizione che ancora una volta conferma lo stallo.

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