VISIONI

Triangolo di amori e tradimentiall’ombra della Tour Eiffel

COMMEDIA
BEATRICE FIORENTINOFRANCIA

Lui, lei, l’altra, il fantasma dell’altro. E un bambino. È il più classico e al tempo stesso insolito dei triangoli amorosi, quello messo in scena da Louis Garrel al suo secondo lungometraggio L’uomo fedele. Marianne (Laetitia Casta) e Abel (lo stesso Garrel) abitano insieme da tre anni quando lei lo mette al corrente di essere incinta di Paul, l’altro, il migliore amico di Abel, con cui lei intrattiene una relazione clandestina da più di un anno e che intende sposare. Niente scenate di gelosia, come si conviene alle persone intelligenti e mature, specialmente a Parigi, specialmente negli ambienti bo-bo, dove una reazione sanguigna sarebbe - ça va sans dire- inopportuna.
ABEL, civilmente, incassa il colpo e si ritira «mentre la giovinezza si allontana poco a poco», come sottolinea l’elegante camera-car dal sentore truffautiano che mette fine al capitolo. I due si ritrovano nove anni dopo, al funerale di Paul, morto all’improvviso, eppure sempre presente anche nell’assenza nelle vite di tutti gli attori di questa bizzarra commedia scritta a quattro mani con l’87enne Jean-Claude Carrière. A dare l’estremo saluto, però, c’è anche Eve (Lily-Rose Depp), la sorella di Paul segretamente innamorata di Abel da quand’era poco più che una bambina e decisa a conquistare l’oggetto delle sue brame. In più c’è Joseph, figlio di Marianne, sempre pronto a ordire trame che provocano continui malintesi, ma sono solo il disperato tentativo di attirare l’attenzione della madre. In L’uomo fedele la modernità convive con la tradizione. Pur affondando nel pieno del caos affettivo e esistenziale dei giorni nostri, questo piccolo film pieno di leggerezza e ironia punta affettuosamente lo sguardo (fedele, appunto) al cinema della Nouvelle Vague (Garrel padre, Truffaut, Chabrol, Rohmer…) e poi su su fino al Seicento teatrale (con Moliere dietro l’angolo). Un film di amori e di amanti, di padri e di figli, di individui fragili che si vogliono e si lasciano all’ombra della Tour Eiffel. Assieme e in un certo senso anche più della coeva Mia Hansen-Løve, Garrel si candida a diventare l’erede di una tradizione di racconto cinematografico che obbedendo alle leggi universali del destino e del desiderio non esaurisce mai la sua vena.

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