SOCIETA

«Moriremo tutti in Libia». Alla deriva barcone di migranti

Ignorato per ore l’Sos di Alarm Phone. In serata interviene una motovedetta libica
CARLO LANIAlibia/tunisia/italia/malta

Un barcone con venti migranti alla deriva tra Libia e Tunisia e dal quale ieri mattina risultavano disperse otto persone. Moonbird, aereo della ong Sea Watch che - allertato da Alarm Phone - sorvola l’imbarcazione segnalandone la posizione mentre un secondo aereo, questa volta della missione europea Sophia, lancia una zattera ai disperati che attendono in mezzo al mare. Allo stesso tempo, però, tra Italia, Tunisia e Malta è gara a rimpallarsi la responsabilità dell’intervento e come se non bastasse due mercantili, le uniche due navi relativamente vicine al barcone, si «rifiutano» di parlare con i volontari di Sea Watch che gli chiedono di soccorrere i migranti.
Sembra non esserci fine all’indifferenza con cui ormai dall’Europa e dall’Africa si assiste alle tragedie del Mediterraneo. Ieri sera del barcone e del suo carico di disperati - tra i quali anche donne e bambini - si era persa ogni traccia fino a quando non è arrivata la conferma che una motovedetta della cosiddetta Guardia costiera libica aveva raggiunto l’imbarcazione in avaria e stava riportando i migranti da dove erano fuggiti. E questo mentre la nave Alan Kurdi della ong Sea Eye continua a fare anticamera nelle acque di fronte a Malta aspettando che qualcuno in Europa gli faccia finalmente sapere dove sbarcare i 63 migranti salvati una settimana fa .
«Stiamo morendo, moriremo in mare. Moriremo in Libia e in Tunisia, se non arriviamo in Italia moriremo tutti». Non potrebbe essere più disperata la richiesta che ieri mattina arriva via telefono ad Alarm Phone. Da quando alle navi delle ong viene impedito di navigare nel Mediterraneo centrale la piattaforma di volontari è l’unica a raccogliere le richieste di aiuto in arrivo dalle imbarcazioni di migranti in difficoltà. «Le autorità a Tunisi, La Valletta e Roma sono informate. Tripoli non è raggiungibile, nessuna sorpresa a causa della guerra in corso lì. Chiediamo il lancio immediato di un’operazione di salvataggio», scrive il servizio telefonico.
Il barcone si trova al confine tra le acque libiche e quelle tunisine e ha perso il motore. Ma da quando nell’area non ci sono più neanche le navi della missione europea Sophia, tutto è più complicato mentre dalla Libia i barconi continuano a partire nonostante la guerra civile. E peggio per chi rischia di affondare. «Informato di un’emergenza qualunque Mrcc (le sale operative che coordinano i soccorsi i mare, ndr), non importa se di Brema o Roma, ha il dovere di rispondere con tutti i mezzi necessari», scrive Sea Watch quando è ormai chiaro che i tempi si stanno allungando pericolosamente. E nessuna risposta arriva neanche dalle imbarcazioni civili che transitano nella stessa area in cui si trova il barcone alla deriva. Da Roma, invece, Matteo Salvini si tira fuori: il barcone? «E’ in Libia, lontanissimo dall’Italia», dice il ministro degli Interni. Solo in serata da Mrcc Roma arriva la conferma che il barcone è stato raggiunto da una motovedetta libica e i migranti riportati nel paese nordafricano che sia l’Unione europea che l’Onu considerano «non sicuro» fin da prima che cominciassero i combattimenti.
Resta intanto bloccata la situazione della Alan Kurdi. La nave della ong Sea Eye si trova ancora in acque internazionali a 22 miglia dalle coste maltesi. Dopo la giovane di 24 anni sbarcata martedì dopo aver perso conoscenza, ieri è stato un ragazzo a sentirsi male. Fortunatamente non si è trattato di nulla di grave ma è chiaro che i 63 migranti che si trovano a bordo, molti dei quali sopravvissuti alle violenze subite nei centri di detenzione libici, non potranno resistere a lungo senza scendere a terra. Una soluzione che permetta di mettere fine alla situazione di stallo in cui si trova la nave però ancora non si vede. «Non ci sono aggiornamenti», ha spiegato ieri la portavoce della Commissione europea, Natasha Bertaud. «La commissione ha avviato i contatti per sostenere e coordinare gli Stati che vogliano prendere parte agli sforzi della solidarietà verso le persone che sono ancora a bordo della Alan Kurdi e questi contatti stanno ancora andando avanti», ha proseguito. Tante parole per dire che nessuno Stato ancora si è fatto avanti. Al di là della dichiarazioni formali, l’Europa continua a chiudere gli occhi su quanto accade nel Mediterraneo.

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