COMMUNITY

I «lumi rotti» nella notte buia di Daniello Bartoli

Divano
ALBERTO OLIVETTIITALIA

Dipingere una notte buia, sostiene Daniello Bartoli (1608-1685), è una prova che rivela meglio di ogni altra possibile dimostrazione la maestria di un pittore. Le doti di indiscussa eccellenza in pittura si affermano, infatti, con sicurezza proprio quando si tratti di rappresentare “alcun fatto d’una moltitudine di personaggi che sol tanto si mostrino, quanto lumeggiati o da lampo di nuvola, o da riverbero di facella, o da splendore ch’esce d’un volto”. Bartoli racconta di esser stato intensamente coinvolto, afferrato e reso partecipe, quasi rapito, nell’osservare la combinazione delle oscurità e delle luci realizzata da Tiziano nella grande tela (misura quasi cinque metri per tre) che illustra il Martirio di San Lorenzo. Fu eseguita tra il 1547 e il 1558 per la chiesa veneziana dei Crociferi, poi collocata nella chiesa dei Gesuiti, dove, è da credere, Bartoli ebbe modo di contemplarla. Il martirio di Lorenzo. Diacono della Chiesa di Roma, dona ai poveri i tesori della Chiesa che si rifiuta di consegnare al prefetto imperiale: è condannato ad esser bruciato su una graticola per ordine dell’imperatore Valeriano in una “notte buia” dell’anno 258. Dell’opera celebrata di Tiziano dà conto nei seguenti termini Giorgio Vasari: “San Lorenzo a giacere in iscorto, messo sopra la grata, sotto un gran fuoco”. E poi: Tiziano “perché ha finto una notte, hanno due serventi in mano due lumiere, che fanno lume dove non arriva il riverbero del fuoco che è sotto la grata, che è spesso e molto vivace (…) ha finto un lampo (…) le genti che ha finto di lontano alle finestre del casamento hanno il lume da lucerne e candele”. È questa una descrizione delle luci e delle ombre che Vasari conduce, per dir così, appoggiandosi a un resoconto dei ‘fatti’ che Tiziano narra. Le risultanze d’ordine formale che Tiziano compone, le scansioni che modulano l’impianto pittorico e lo improntano ad un codice drammatico vigoroso e di possente impatto, non sono accentuate esplicitamente da Vasari che si limita a registrare come sia “il tutto fatto con bell’arte, ingegno e giudizio”. È forse istruttivo confrontare questa ‘relazione’ del Martirio di San Lorenzo redatta con diligenza da Vasari con la esecuzione in scrittura che, sullo spartito di Tiziano, Bartoli orchestra. Bartoli, nella mezza luce della chiesa dei Gesuiti, sta di fronte all’opera. Sosta dinanzi a quella formidabile raffigurazione di un supplizio atroce. Sovrastato dalla misura ingente che colloca il corpo suo di osservatore nel gioco delle proporzioni comandato dalle coordinate spaziali della pittura. È così che Bartoli si impegna in una restituzione in forma di parole del movimento interiore che lo prende. Moto che si innesca, prende un suo avvio e giunge ad animare le sorgenti delle emozioni, le impressioni molteplici determinate dalle percezioni abbinate e simultanee di oscurità e di luce, di evidente e di nascosto, di assenza e di presenza. Dalla scena che recita una tragica vicenda, egli è spinto alla partecipazione in prima persona. Una entrata, quasi, nell’agone: Bartoli da spettatore si fa autore: “Qui dunque uno spruzzo di lumi rotti, e che non feriscono in pieno, ma balzando alla sfuggita, e sol toccando le punte che maggiormente rilievano, e in un luogo risentiti, crudi, taglienti; in un altro, sfumati e dolcissimi, e dalla lungi niente più che un non so che di chiarore, che in toccando l’ombra vi muore: e questi e quegli, non ben sapete se più è quel che mostran col chiaro o quel che con le dense e grandi ombre nascondono: se non che pure quel pochissimo che ne appare, fa la spia ad immaginare, se non a scoprire, il moltissimo che non appare. Una tal notte felicemente condotta, ho io veduta in Venezia, e rappresenta il martirio di San Lorenzo, mano dell’incomparabile Tiziano”. “Io posso dire per esperienza”, ha scritto Giacomo Leopardi, che la lettura del Bartoli è saggiare “le forze e la infinita varietà delle forme e sembianze che la lingua italiana può assumere”. E aggiunge: “vi trovate in una lingua nuova, locuzioni e parole e forme delle quali non avevate mai sospettato (…) il lettore si maraviglia d’intender bene e perfettamente gustare una lingua che non ha mai sentito”.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it