SOCIETA

Questa città non è un albergo

A Napoli, con Barcellona e Berlino, la marcia contro gli sfratti nei centri storici
ADRIANA POLLICEitalia/napoli

Pina ha trent’anni ed è nata al rione Sanità, la sua famiglia abita lo stesso appartamento da oltre un secolo. In realtà, più che una casa, è una grotta ricavata dalle fondamenta di un palazzo storico, al numero 20 di Supportico Lopez: due stanze senza luce, il soffitto alto appena due metri. Pagavano 100 euro al mese, poi quattro anni fa l’immobile è stato acquistato da un nuovo proprietario che prima ha aumentato il canone a 250 euro e poi, ai primi ritardi nei pagamenti, ha chiesto lo sfratto. Nel palazzo ci sono già due case vacanza e il sospetto di Pina è che anche la loro possa diventarlo.
NELLO STESSO QUARTIERE, di fronte alla pasticceria più nota della zona, sono spuntati otto b&b. La Sanità sta rinascendo con il turismo: finiti gli anni delle botteghe artigiane, il rione si è trasformato in una piazza di spaccio ma le associazioni e la parrocchia di Santa Maria alla Sanità stanno provando a disegnare un futuro diverso valorizzando il ricco patrimonio artistico della zona, una macchina del tempo dall'epoca greca a oggi. L’effetto collaterale è che gli affitti sono schizzati alle stelle: il quartiere si era ripopolato con i migranti, perché i canoni erano bassi. Adesso i costi sono raddoppiati, arrivando a circa 400 euro. Non solo gli appartamenti dei palazzi seicenteschi ma anche i bassi, cioè i terranei, diventano b&b per il turista in cerca di un’esperienza esotica.
A marzo del 2017 a Napoli si contavano 5.472 b&b. A marzo di quest'anno erano già 8.137, un incremento di quasi il 50%. L’idea alla base di Airbnb, la più diffusa piattaforma per vendere il servizio, era quella di mettere in contatto i viaggiatori con chi, nel proprio appartamento, metteva a disposizione uno o più stanze. Ma nel tempo si è trasformato in una forma differente di pernottamento, alternativa all’albergo ma del tutto uguale nella funzione. Infatti, a Napoli il 63% delle offerte riguarda interi appartamenti, il 58,6% sono annunci multipli, cioè di un singolo soggetto che gestisce più annunci. E sono quasi tutti concentrati in 10 chilometri quadrati, cioè nel centro storico patrimonio Unesco. L’effetto collaterale sono i circa 1.600 sfratti esecutivi all’anno, a fronte di più di tremila domande. A Rua Catalana e Porta di Massa sono stati liberati interi palazzi dagli affittuari. In via Atri si contano 22 appartamenti offerti online, con c proposte concentrate all’interno dello stesso palazzo
BARCELLONA, BERLINO E NAPOLI il 6 aprile saranno attraversate da marce contro gli sfratti e la bolla degli affitti. A Napoli la marcia è organizzata dalla rete Set: il corteo sarà aperto dallo striscione «Resta abitante della tua città». Lo scopo è aprire un dibattito su «gli effetti collaterali della turistificazione, che svuota di gran parte degli abitanti i quartieri storici, trasformandoli in una disneyland musealizzata, in una finzione». L’amministrazione comunale, con l'assessorato alla cultura e turismo, sta predisponendo una delibera «per preservare l’equilibrio tra storicità, sedimentazioni e innovazioni, facendo in modo che le attività connesse al turismo non si presentino come aggressive». Il rischio, spiega la rete Set, è che le città non siamo più per chi le vive ma «contenitori di merci e persone, unici investimenti in sicurezza e decoro».
IL BOOM A NAPOLI è iniziato a partire dal 2015 grazie a una serie di fattori: quartieri storici ad alta fragilità sociale, costo medio degli appartamenti basso rispetto al pregio architettonico dell’edificio. Gli investitori hanno profili diversi. In città la fascia di esenzione dall’Imu, che riguarda le persone che vivono nella sola casa di proprietà, è di poco superiore al 65% contro una media delle grandi città italiane vicine all’80%. Vuol dire che i multiproprietari sono di più. In particolare, la fascia dei proprietari dai tre appartamenti in su è di oltre cinquemila persone.
Secondo il Gruppo Tecnocasa, nel 2018 a Napoli l’acquisto a uso investimento ha riguardato il 40,9% delle transazioni. «Si aprono nuovi business - spiega Miriam Di Nardo, della rete Set - con agenzie, come ad esempio la Boundless, che gestiscono per conto dei proprietari gli appartamenti sulle piattaforme online. Inoltre, c’è un maggiore interesse degli acquirenti esteri verso le proprietà napoletane, come spiegato dalla Leonardo Immobiliare. Infine, ci sono operatori come la proprietà dell’hotel Terminus, che diversifica con i b&b la propria offerta, o pizzerie storiche, che investono nella zona di Materdei e dei Decumani acquistando bassi a uso turistico, come soggiorni “esperienziali”».
Palazzo Penne racchiude in sé tutti gli elementi e i rischi di questo processo. Si tratta di un edificio del 1406, residenza di Antonio Penne, segretario del re Ladislao di Durazzo. Ha fatto da quinta al romanzo La pelle di Curzio Malaparte e da set a Pasolini per il Decameron. All’interno c'è un giardino dove crescono i papiri e fioriscono i banani, dai suoi cunicoli si arrivava al mare che, allora, lambiva l’attuale Sedile di porto. Delle 30 famiglie che l’abitavano è rimasta solo la signora Iolanda Somma, che a palazzo Penne è nata nel 1942. È dalla fine degli anni Novanta che provano a sfrattarla: l’edificio doveva diventare un albergo. La battaglia legale ha prodotto l’abbandono dell’edificio, che oggi è a rischio crollo. Nel 2002 la regione l’ha acquistato: doveva andare all'Università Orizzontale, poi diventare sede della protezione civile, quindi con la giunta Caldoro un centro studi sul dissesto idrogeologico, aperto al quartiere. Il finanziamento europeo di 13 milioni con l’amministrazione De Luca è finito su altri progetti e oggi il Comitato Portosalvo teme che, come nel gioco dell’oca, possa finire di nuovo ai privati, questa volta stranieri, per farne un albergo. «Ma noi siamo pronti a chiedere al Mibac di vincolare palazzo Penne - spiega il consigliere della II Municipalità, Pino De Stasio - per bloccare ancora gli speculatori».

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