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L’Armata rossa ai confini sud degli States, nell’interesse di Trump

Roberto Livi
ROBERTO LIVIvenezuela/russia/usa

«La Russia deve andarsene dal Venezuela» ha tuonato domenica scorsa il presidente Trump. Accanto a lui, nella sala ovale della Casa bianca, vi era Fabiana Rosales, la giovane moglie di Juan Guaidó. Senza mediazioni, un corrucciato The Donald ha messo in chiaro - se ve ne fosse bisogno - che lui parla e decide a nome dell’«autoproclamato» presidente ad interim del Venezuela.
TRUMP SI RIFERIVA a un centinaio di militari russi al comando del generale Vasili Tonkoshkurov, Capo di Stato maggiore dell’esercito, sbarcati la settimana scorsa a Caracas a bordo di due grandi aerei . La missione militare era stata programmata nell’ambito di «una cooperazione tecnico-militare» tra i due paesi. Invece, secondo notizie fatte circolare nella rete su ispirazione del Pentagono, avrebbe trattato con Maduro anche la concessione di una base militare russa nel sud del Venezuela. La notizia è stata smentita a Mosca e a Caracas. Ma poco importa, per Trump è stata un’occasione per alzare di nuovo la voce- ignorando che gli Usa hanno 76 basi militari in America latina e nei Caraibi.
Putin dunque è avvertito: se continua a intromettersi nel patio trasero degli Stati uniti rischia grosso, come il suo alleato locale, il presidente «usurpatore» Nicolás Maduro. Perché, ha ripetuto Trump, «tutte le opzioni sono sul tavolo» per abbattere il governo bolivariano e cacciare i suoi alleati. «Compresa quella militare», hanno voluto sottolineare due dei falchi dell’Amministrazione, il delegato agli affari del Venezuela, Elliot Abrams, e il responsabile della sicurezza nazionale, John Bolt. Quest’ultimo ha messo chiaramente i piedi nel piatto della crisi : «La Casa bianca considera queste provocazioni (della Russia, ndr) come una minaccia diretta».
FIN DALLA DECISIONE di estrarre dal cappello della Cia la candidatura di Guaidó era chiaro che in Venezuela l’Amministrazione Trump intendeva giocare una partita ben più grande del controllo di enormi giacimenti di petrolio e altre materie prime strategiche di cui il paese è ricco. In ballo era la "riconquista" del subcontinente dopo quasi vent’anni di marea rosada, ovvero di governi progressisti e alleati di Cuba che reggevano gli Stati chiave dell’America latina. Una campagna che sotto una copertura ideologica - «la fine del socialismo» - aveva fini strategici; non ultimo cercare di fermare la penetrazione della Cina, addirittura intenzionata a inserire nella moderna via della seta anche l’America centrale e il canale di Panama.
EVOCANDO una «minaccia diretta» da parte di Putin e di Maduro, Trump rafforza uno dei punti di forza della sua prossima - ma in realtà gia iniziata da mesi - campagna per le presidenziali del 2020. L’Armata rossa ai confini sud degli States da ben più sostanza alla necessità di salvaguardare sia la leadership mondiale – il «destino manifesto»- degli Stati uniti, obiettivo sul quale anche i leader del Partito democratico concordano, sia la supremazia dell’America bianca e protestante. Il muro di separazione dal Messico diventa così funzionale a fermare la «minaccia russo-venezuelana» evocata dal Dipartimento di Stato; una barriera non solo contro le "orde" di migranti centramericani, ma una difesa dell’intera nazione. Dunque anche dei latinos che hanno già conquistato l’ambito status di cittadini dell’impero.
IL VOTO DEGLI AMERICANI di origine latina è probabilmente la chiave che aprirà la porta della prossima presidenza. Trump e il suo staff puntano non solo alla riconferma dei voti degli anticastristi della Florida - ai quali offre un continuo ampliamento dell’embargo contro Cuba - e a intascare il sostegno degli «emigranti golfisti» - ovvero dell’alta borghesia venezuelana rifugiatasi in Florida (dove ha provocato un aumento dei prezzi degli immobili di prestigio). Ma anche l’appoggio di quei latinos che hanno raggiunto un certo benessere e che si vedono minacciati da una nuova ondata di emigranti centroamericani in fuga dalla miseria e dall’insicurezza, peraltro causate da regimi - come quelli dell’Honduras o del Guatemala - che hanno il sostegno attivo di Washington.
TRUMP HA DUNQUE tutto l’interesse di mantenere polarizzata e conflittuale la situazione del Venezuela. Per la quale prevede una sola via di uscita, la fine del governo bolivariano. Chiamati a raccolta, i governi di destra del gruppo di Lima - Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Costa Rica, Cile, Guatemala, Guyana, Honduras, Panama, Paraguay, Perú e Santa Lucia- hanno emesso un comunicato per esprimere la loro «preoccupazione» per l’«ingerenza» della Russia. Mentre dal Salvador giungono informazioni su gruppi di contras che si starebbero addestrando con armi comprate dalla Cia in Ucraina per essere poi infiltrati in Venezuela. Una pratica che vede in Abrams uno dei maggiori esperti, data la sua partecipazione al tristemente famoso affair Irangate, la vendita di armi americane all’Iran per finanziare la guerriglia contro il governo sandinista in Nicaragua nel 1985.

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