VISIONI

La Batteria e le musiche senza parole, dal bianco e nero al colore

STRUMENTALE
LUCA PAKAROVITALIA

Un prog funk che riecheggia dalle atmosfere movie come nel precedente album ma con più tradizione hard rock e synth italiana nelle vene. La Batteria II va controcorrente sia con i 18 brani su due vinili, sia per i quattro compositori e arrangiatori della band, come a mettere nero su bianco un’operazione dal sapore collezionistico. Un prodotto di nicchia forse ma che ha nel suo albero genealogico i grandi come Morricone, Goblin, Micalizzi o Piccioni da cui Emanuele Bultrini (chitarre), Paolo Pecorelli (basso), Stefano Vicarelli (tastiere-synth) e David Nerattini (batteria) sono riusciti a creare un viaggio simbolico con nuove influenze.
DAVID DICE: «Facciamo musica strumentale e completamente indipendente, di nicchia per definizione, ma abbiamo una libertà pressoché totale. Avevamo un grande numero di brani scritti nei 3 anni seguenti all’uscita del nostro esordio e ne abbiamo scelti 18. Poi si è fatta largo l’idea di fare un unico doppio album, all’inizio quasi per scherzo, consci del periodo storico in cui viviamo e del tipo di fruizione della musica. L’abbiamo pensato come un sequel più ricco del primo album, un po’ L’Impero Colpisce Ancora e un po’ Physical Graffiti». I brani si alternano nella tessitura della drammaturgia musicale di una colonna sonora anche se, ci raccontano, l’ispirazione non è arrivata da nessun film nello specifico: «Ci siamo resi conto però che il filone ’post-atomico’ all’italiana dei primi anni 80, tipo 1990: I Guerrieri Del Bronx, nonché il modello originale Carpenteriano, doveva averci lasciato segni indelebili. Rispetto a quattro anni fa, qui ci sono più riferimenti agli anni 80 e alla seconda metà dei 70. È un lavoro basato anche sui ricordi: il passaggio dalla tv in bianco e nero a quella a colori, dai film per bambini a quelli vietati ai 14».

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