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Per l'ambiente, contro lo sfascio delle Grandi opere

Sabato 23 marzo a Roma
ALBERTO ZIPAROITALIA/ROMA

La drammatizzazione politica e mediatica sul Tav ha riportato il discorso sulle grandi opere indietro di diversi anni. Riproponendo - con il coro dei “grandi media” posizioni equivoche e contraddittorie, già abbondantemente svelate e chiarite, oltre che dalle analisi, anche dagli accidenti e dagli scandali che hanno contrassegnato il settore. Con l'avvento dell'alta velocità a inizio anni '90 (che nella tratta principale italiana Torino-Milano-Napoli, doveva costare dodici miliardi di euro e oggi ha superato i 130, senza per altro essere completata) e poi della Legge Obiettivo, si sono spesi centinaia di miliardi per la realizzazione, spesso presunta, di infrastrutture nuove. Dimenticando e mettendo da parte l'enorme e prezioso patrimonio di linee ferroviarie e stradali realizzate in oltre un secolo; che fa dell'Italia il paese avanzato in cui è più alto il rapporto tra lunghezza delle reti e abitanti. Come i disastri anche drammatici ci ricordano, tale enorme risorsa a andrebbe attentamente manutenuta. Invece noi abbiamo speso di recente oltre il 90% dei capitali investiti in nuove opere. Un terzo delle quali giacciono oggi incompiute e abbandonate, o mai avviate (vedi il Ponte sullo Stretto o il sottoattraversamento Av di Firenze). Lo stesso Cantone, nel definire «criminogena» la norma che doveva regolare ed orientare tutta questa materia, la Legge Obiettivo abrogata due anni fa, ma ancora valida per le opere già avviate, ha sottolineato quali erano i maggiori nodi critici della stessa norma. Le ragioni dei blocchi, quindi degli sfasci e degli sprechi, legati ai cantieri, stanno negli stessi meccanismi della legge - e delle altre leggi “speciali” dello stesso periodo, che nella ricerca di ipersemplificazione, favoriscono l'aggiramento dei problemi tecnici e ambientali, con progettazioni spesso lacunose e procedure eccessivamente disinvolte. Con il risultato che prima o poi, i problemi tecnici, construttivi e ambientali, riemergono; spesso sottoforma di incidenti o disastri, con l'intervento della magistratura; e il blocco, anche definitivo, dei lavori. E quindi dei flussi di danaro verso l'operazione. Ciò che ha costituito il primo e più grande motivo di redazione di una normativa così palesemente discrezionale e contraddittoria.
La Legge Obiettivo esautorava infatti i poteri di controllo e determinazione degli enti locali e spesso anche regionali, accentuando le competenze decisionali allo Stato. Che poi, in fase esecutiva di fatto le cedeva alla logica privatistica del blocco «concessionario-imprese», accellerando fortemente i flussi di spesa, ricorrendo a meccanismi di indebitamento diretto o di project financing. Allorché i problemi tecnici o ambientali emergevano, fino a diventare insormontabili per la prosecuzione dei lavori, il giocattolo si rompeva e prima o poi anche i flussi monetari cessavano. Per questi motivi, non “per l'odiata burocrazia, gli ambientalisti, i comitati o i 5 Stelle”, i cantieri si bloccavano. Le imprese spesso fallivano o restavano prigioniere degli istituti bancari o finanziari che avevano foraggiato i lavori, veri o presunti. Con le diverse modalità “geniali” cui si ricorre ancora oggi, per alimentare questi “nuovi dinosauri”. Con tali modalità, ingenti quote di risorse economiche pubbliche, sono state trasferite al mercato finanziario privato; mentre si tagliavano le “spese eccessive” che servono alla collettività. Oggi la maggioranza «pro-Tav» (destra e Pd) - che secondo Berlusconi dovrebbero mettersi assieme per «salvare» quello stesso Stato già saccheggiato per trent'anni - quando difende disperatamente un'opera, il Tav, sta perpetuando un modello di spesa e di potere, di cui vogliono continuare a beneficiare le grandi lobbies, in Italia e in Europa. Insomma, «servono investimenti!», del tipo di quelli descritti, mentre «va tagliata la spesa sociale improduttiva». E si chiedono nuovi «sblocca-cantieri», Legge Obiettivo rinominate. È utile invece ricordare a tutti, lo sfascio delle Grandi Opere Inutili e Imposte, un capitolo da chiudere, come si chiederà il 23 Marzo a Roma, nel grande corteo «Per il Clima e contro le Grandi Opere», laddove urleremo che servono investimenti, ma per opere utili, a cominciare da una nuova pianificazione del risanamento del territorio e del paesaggio, nonché del patrimonio infrastrutturale e abitativo del Belpaese.

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