CULTURA

Grandi scimmie, la pedagogia perduta

ETOLOGIA - L’impatto umano fa scomparire la diversità culturale tra gli scimpanzé
ANDREA CAPOCCIgermania/lipsia

Fino a tempi piuttosto recenti, si riteneva che solo la specie umana fosse in grado di sviluppare una cultura e trasmetterla da una generazione all’altra. La ricerca degli etologi, invece, ha mostrato che diverse specie, anche molto lontane dall’uomo sull’albero della vita, possiedono tradizioni culturali, le trasmettono e, in alcuni casi, si comportano da veri e propri insegnanti.
Tra le specie in grado di sviluppare tradizioni locali c’è lo scimpanzé, la specie geneticamente più vicina a Homo sapiens insieme al bonobo. Uno studio diretto dalla zoologa Ammie Kalan del Max Planck Institute di Lipsia (Germania), pubblicata sull’ultimo numero della rivista Science, dimostra che l’impatto umano è strettamente correlato alla scomparsa della diversità culturale tra gli scimpanzé.
MA COSA SIGNIFICA «cultura»? Per rilevare l’esistenza di una cultura in specie diverse dalla nostra è necessario trovare una definizione abbastanza universale da applicarla anche a scimmie, cetacei, uccelli o insetti. Per gli zoologi, è la trasmissione di usi, tecniche e comportamenti tra gli individui di una comunità appartenenti alla stessa generazione e a quelli delle generazioni successive. Messa così, la cultura non appartiene solo a uomini e donne: l’uso dei bastoncini per catturare le termiti tra gli scimpanzé, ad esempio, è una tradizione culturale che i membri di una comunità imparano l’uno dall’altro.
Il meccanismo di trasmissione più diffuso è quello imitativo: nella maggior parte dei casi noti, una nuova strategia si diffonde semplicemente perché gli individui copiano un comportamento apparentemente utile. Ma in alcune specie esiste una vera e propria «pedagogia»: gli individui, cioè, sono in grado di adottare un comportamento svantaggioso nell’immediato al fine di insegnare una tecnica che, sul lungo periodo, comporta un beneficio sia per l’allievo che per l’insegnante. Succede con le orche che si spiaggiano volontariamente per insegnare ai cuccioli a cacciare le foche, o con i felini che non uccidono le prede per lasciarci giocare i piccoli. Spesso si tratta di animali a cui non attribuiamo grande intelligenza: tra gli animali che insegnano ci sono ghepardi e api. Specie ritenute più «intelligenti», come gli scimpanzé, si affidano invece solo all’imitazione.
Non sempre, tuttavia, l’adozione di strategie complesse è frutto di «cultura»: talvolta, un nuovo tratto comportamentale emerge per via genetica e si trasmette da una generazione all’altra attraverso il Dna. Un’attività apparentemente avanzata come la coltivazione di un’altra specie (succede tra formiche e funghi) può essere condivisa senza particolari meccanismi di apprendimento sociale. Per l’umanità invece è stata una conquista sociale recentissima.
Distinguere la componente genetica da quella sociale non è mai facile. Una delle peculiarità della cultura è però l’esistenza di tradizioni locali: usi e costumi popolari in una comunità ma non in altre geneticamente identiche. Clan diversi di orche emettono suoni distinti, paragonabili ai dialetti, e hanno preferenze alimentari particolari.
COSE SIMILI ACCADONO anche tra gli scimpanzé. Gli scienziati del Max Planck Institute hanno censito le 31 tradizioni culturali osservate in 144 comunità di scimpanzé situate nell’Africa Centrale e Occidentale a cavallo dell’Equatore. Si tratta di tecniche utili alla sopravvivenza e al benessere, come l’impiego di pietre per rompere i gusci della frutta, la fabbricazione di spugne per estrarre l’acqua e berla, l’uso di farsi un bagno o di cercare l’ombra di una grotta per rinfrescarsi d’estate, o di costruirsi un giaciglio di foglie per la notte.
QUESTI COSTUMI non sono in voga in tutte le comunità di scimpanzé ma solo in alcune di esse. Vi sono comunità che le usano tutte o quasi, e altre in cui certi usi sono assenti. Come mai alcune comunità sembrano culturalmente più ricche di altre?
Per capirlo, gli zoologi hanno messo a confronto il patrimonio culturale di ogni comunità con l’impatto dell’uomo sull’ambiente in cui quella comunità vive. E hanno scoperto che le comunità più toccate dalla presenza umana sono anche quelle più povere in termini di tradizioni culturali. L’attività umana, com’è noto, sta intaccando gli ecosistemi più delicati soprattutto nei paesi africani con la maggiore crescita demografica. Di conseguenza, la popolazione di scimpanzé tra il 1990 e il 2014 è diminuita di ben l’80%, con un calo annuo del 6% in media. Questo ha frammentato le comunità, ostacolato le comunicazioni e reso più difficile la diffusione di tratti culturali attraverso le comunità.
Dato che il declino demografico delle grandi scimmie è iniziato molto tempo fa (si pensa che gli orangutan asiatici fossero cacciati già trentamila anni fa), il patrimonio culturale perduto potrebbe essere assai rilevante. Per rimediare, gli scienziati oggi suggeriscono di creare siti di protezione del patrimonio culturale per scimpanzé e corridoi di comunicazione che facilitino la sua diffusione.
IN FONDO, CON L’UOMO occidentale ha funzionato: le conoscenze raggiunte dai greci erano andate quasi perdute nel medioevo, e sono state recuperate in gran parte attraverso le traduzioni arabe dei manoscritti conservati dagli amanuensi nei loro monasteri.
Ma, a proposito di apprendimento, quello che sta succedendo tra le scimmie deve insegnare anche a Homo sapiens che le conquiste culturali, scienza e tecnica inclusa, non sono acquisite una volta per tutte né si accumulano in una crescita lineare e infinita. Al contrario, quando le comunità si frammentano e l’ecosistema si degrada, all’impoverimento materiale corrisponde anche quello culturale.

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