VISIONI

Quelle ardite mutazioni dei corpi senza preconcetti di stile e genere

Sette danzatori tra schegge ballettistiche e virtuosismi hip-hop
FRANCESCA PEDRONIitalia/brescia

A Quiet Evening of Dance di William Forsythe è uno spettacolo che mette in moto il pensiero sul linguaggio della danza e del balletto. Un viaggio quasi programmatico che regala al pubblico un affondo percettivo, tranquillo quanto incandescente per l’abilità con la quale mescola movimenti giocati sugli snodi delle articolazioni, fuori asse, schegge ballettistiche, travolgenti virtuosismi hip-hop in una sapiente scrittura coreografica. Coprodotto dal Sadler’s Wells di Londra nell’ottobre 2018, A Quiet Evening of Dance, già spettacolo vincitore del Fedora-Van Cleef & Arpels Prize for Ballet, ha debuttato in Italia in queste settimane: due le tappe, la prima al Teatro Grande di Brescia, che nel 2012 ospitò The Forsythe Company, sciolta nel 2015, la seconda al Valli di Reggio Emilia che con grande intuito ha dedicato a Forsythe dagli anni Ottanta a oggi festival e ospitalità. Il 24 e 25 giugno sarà al Malibran di Venezia alla Biennale per il 13° Festival Internazionale di Danza Contemporanea
A Quiet Evening of Dance è firmato da Forsythe insieme ai sette danzatori del cast originale (unico assente in Italia Ander Zabala, sostituito da Cyril Baldy). Sei di loro hanno alle spalle anni alla Forsythe Company, Rauf «RubberLegz» Yasit è un campione di hip hop. Cyril Baldy e Parvaneh Scharafali aprono il Prologue in un silenzio accompagnato dal cinguettio di uccelli. Indossano lunghi guanti bianchi e svettano per lo spazio intrecciandosi in spirali.
IN CATALOGUE (2ND EDITION) la rossa Jill Johnson e Christopher Roman, uno a fianco dell’altro, ci guidano con uno schema di movimento in crescendo, quasi didattico, nell’apprendimento di cosa comporti nel corpo la rotazione delle spalle e del bacino, uno studio sulla disarticolazione, lo spostamento del peso, la focalizzazione del movimento da una parte all’altra del corpo. In Epilogue, sui Nature Pieces from Piano No. 1 di Morton Feldman, fa la sua prima apparizione il campione di hip hop che si insinua dentro il magma creativo di Forsythe, aperto da sempre a qualsiasi inclusione, commistione. Danzano con lui Baldy, Johnson, Roman, Scharafali. Tornano i lunghi guanti, di colori accesi, contrastati da sgargianti calzette. Con sveltezza i cinque spingono il materiale del «catalogo» in ardite variazioni: torsioni, salti e scese a terra, linee ballettistiche, passaggi break in moti che fendono lo spazio.
LA PRIMA PARTE si chiude con Dialogue che rielabora Duo2015. A danzare sono Brigel Gjoka e Riley Watts: travolgenti nella mobilità dei corpi che rende visibile anche nel respiro la dinamica della relazione. Ma la grande sorpresa arriva nella seconda parte che rielabora tutto quello che abbiamo capito nella prima in una trascinante, solare coreografia collettiva: Seventeen/ Twenty One, danzato sul Ritournelle da Hippolyte et Aricie di Jean-Philippe Rameau.
SI APRE con tre maschi che sul settecentesco ritornello saettano tra corse e pose barocche, giocando magistralmente tra il codice del balletto con le sue cinque posizioni, l’hip hop, l’off-balance, il disegno nello spazio tra simmetria e fuga. Un miracolo di inventiva e naturalezza, senza preconcetti di stile e genere, un invito a guardare avanti in libertà da un uomo che si è definito un «native ballet speaker».
Oggi Forsythe è tornato a vivere in America. Insegna all’Istituto Coreografico dell’Università della California del Sud, Glorya Kaufman. Il 7 marzo debutterà con una nuova serata per il Boston Ballet: tra i pezzi la prima mondiale di Playlist (EP) su un mix musicale da Khalid a Barry White.

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