VISIONI

Il calcio tra machismo e femme fatale

Caso Icardi
LUCA PISAPIAITALIA/MILANO

Cherchez la femme, e poi vomitatele addosso i vostri peggiori istinti. Quello che sta accadendo intorno al caso di Mauro Icardi, cui è stata tolta la fascia di capitano dell’Inter per le parole e i comportamenti della moglie e procuratrice Wanda Nara, o almeno così ci raccontano, è sintomatico dello stato dello sport italiano e non solo. In un ambiente macho e machista come quello del calcio non esiste che una donna abbia voce in capitolo, figuriamoci un qualsiasi potere. Era chiaro fin dall’inizio, quando i media solitamente proni a inchinarsi alle meravigliose gesta dei procuratori, fossero essi i Mino Raiola, i Jorge Mendes o i figli di, come Davide Lippi e Alessandro Moggi, dedicando i loro elzeviri, hanno trattato con arroganza e superbia la donna che osava entrare in questa (poco) nobile comitiva, e che inevitabilmente non avrebbe saputo fare il suo mestiere.
Figuriamoci ora, che qualcosa si è evidentemente rotto tra Icardi e l’Inter, e nessuno sa cosa, visto che nonostante la pervasività delle telecamere lo spogliatoio rimane un luogo sacro e inviolabile. Subito è stato trovato il colpevole: la femme fatale. Finché Wanda Nara è utilizzata dagli stessi giornali e televisioni nelle sezioni «rosa» e «gossip» va tutto bene, che una donna bionda e bombastica è sempre un bel vedere. Ma appena lei prova a parlare di numeri e di cifre, o addirittura di questioni di campo – sostenendo in tv che il marito non è abbastanza servito dai compagni ha detto quello che i giornalisti sportivi maschi scrivono da mesi, ma loro evidentemente possono – ecco che commette peccato di hybris. E il circo mediatico si compatta ad attaccarla con un moralismo e una violenza inaudita che, ai procuratori sopra citati, non sono mai stati riservati. Sembra quella canzone di De André sul vecchio professore che di notte va a cercare e implorare chi poi di giorno disprezzerà pubblicamente. Se il caso Icardi rientrerà o meno, se è stato giusto o no togliergli la fascia di capitano, non lo sappiamo. E nemmeno ci interessa. A giugno vedremo se sarà venduto, a un prezzo più alto o più basso del suo valore, e se e come proseguirà la sua carriera altrove. Quello che resta oggi sono i titoli, gli editoriali, le parole e le allusioni che rimbalzano sui media sportivi e non. E raccontano che questo paese ha davanti a sé una lunga strada da fare per liberarsi di un’idea di società declinata al maschile.

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