INTERNAZIONALE

La morsa dei militari sullo Zimbabwe

Arresti di oppositori, diritti violati, uccisioni: l’illusione del cambiamento post Mugabe è durata poco. Pane e benzina alle stelle
LUCIANO DEL SETTE zimbabwe

«L’aumento del 150% del prezzo del carburante è stato l’ultimo chiodo piantato nella bara di una lunga sofferenza». Lo afferma, via e-mail, il fotoreporter KB Mpofu, una delle tante voci dello Zimbabwe che dal 14 gennaio raccontano ogni giorno gli arresti, le violenze, le violazioni dei diritti ad Harare, la capitale, a Bulawayo, Domboshawa, nei sobborghi urbani e nei villaggi. Voci di associazioni, delle Chiese, di ONG, carta stampata, che poca eco hanno avuto in buona parte del mondo, Italia compresa.
VARRÀ ALLORA E INNANZITUTTO, ricordare quanto è successo e potrebbe continuare a succedere. Il primo segnale era arrivato dalle elezioni dell’agosto 2018, quando Emmerson Mnangagwa viene confermato presidente della Repubblica a seguito del golpe militare che nel novembre 2017 aveva desautorato Robert Mugabe. Mnangagwa, già ministro per la Sicurezza nazionale, poi vicepresidente, è una figura di primissimo piano dello Zanu-Pf (Zimbabwe African National Union - Patriotic Front), il partito di governo. In quelle elezioni ottiene il 50,8% dei voti contro il 44,3 del suo avversario Nelson Chamisa, leader dell’Mdc (Movement for Democratic Change). Il forte odore di brogli aveva portato l’opposizione in piazza ad Harare, il 2 agosto, prima dei risultati. Sei i morti e quindici i feriti.
L’ILLUSIONE DEL CAMBIAMENTO dopo trentasette anni di un regime autoritario, corrotto e inefficiente, si è già dissolta. D’altronde, come dimenticarlo, Mnangagwa è stato il delfino di Mugabe. Corruzione, inefficienza, incapacità caratterizzano anche il nuovo establishment, che, nonostante la grave carenza di valuta estera, è costretto a farne uso per l’importazione di petrolio. Questo provoca un’impennata dei prezzi dei generi di prima necessità e dei servizi, svuota gli scaffali dei negozi di alimentari, ingrossa le code interminabili davanti ai distributori, crea difficoltà alle aziende nel tenere il passo con i costi di produzione.
Il 12 gennaio, il governo annuncia che un litro di benzina passerà da 1,35 a 3,31 dollari, il più caro del mondo. Scrive ancora KB: «L’aumento della benzina e del gasolio è stata la sola risposta alla crisi, ufficialmente finalizzata a scoraggiare il commercio illegale», mentre Eddie Cross, membro del parlamento per Bulawayo Sud, tra i fondatori dell’Mdc, sottolinea in un suo intervento : «Lo stesso giorno, Mnangagwa lascia lo Zimbabwe su un Boeing 787, preso in affitto per andare a Mosca e presenziare al World Economic Summit di Davos con dozzine di persone al seguito».
IL 14 GENNAIO I SINDACATI dello Zctu, Zimbabwe Congress of Trade Union, indicono uno sciopero che prosegue per tre giorni. Il bilancio è pesantissimo: sedici morti, ottanta feriti da pallottole, un migliaio di arresti di cui oltre seicento a Bulawayo, secondo lo Zhlr ( Zimbabwe Lawyers for Human Rights) una ong di avvocati. Il 16 gennaio, il ministro per la Sicurezza nazionale Owen Ncube impone agli operatori di rete mobile di sospendere i servizi internet. Ricorda Mpofu che «Whatsapp è uno dei più grandi strumenti di comunicazione nello Zimbabwe. Moltissime persone, quindi, non potevano più avere contatti con le famiglie e i propri cari». Il 21 gennaio l’Alta corte di giustizia, su richiesta dello Zlhr, annulla il provvedimento. Lo stesso giorno, Mnangagwa rientra precipitosamente in patria, costretto dagli eventi a disertare il Forum di Davos.
Se cortei e proteste si sono interrotti, continuano le operazioni repressive di esercito e polizia. All’arresto, il 16 gennaio, del pastore Ewan Mawarire, accusato di sovversione e incitamento alla violenza, seguono, il 21, quelli di Japhet Moyo e di Peter Mutasa, rispettivamente segretario e presidente dello Zctu.
UN RAPPORTO DELLO ZLHR, aggiornato al 25 gennaio, denuncia irruzioni, fermi, pestaggi, nei confronti di civili inermi in varie città. Stesso trattamento per i passeggeri e i conducenti di alcuni bus, venditori ambulanti, lavoratori, a Bulawayo e Harare. A Glen Norah, sobborgo di Harare, un uomo è stato fatto salire a forza in un’auto senza contrassegni. Un altro, con problemi mentali, ha subito torture da un gruppo di militari e poliziotti a Mzilikazi, sobborgo di Bulawayo. Zlhr dà conto, poi, di saccheggi, presidi armati alle stazioni di servizio, violenze sessuali.
MPOFU RACCONTA di una situazione «di totale incertezza, sotto il profilo politico si è forse aperta una spaccatura all’interno dello Zanu-Pf, con cui l’Mdc si dichiara disponibile al dialogo se, per prima cosa, saranno rimessi in discussione i risultati elettorali del 2018. Sotto quello economico, il paese continua a vacillare. Recenti notizie emerse dai media sudafricani dicono che Pretoria ha rifiutato a Mnangagwa un prestito da un miliardo e 200 milioni di dollari. Nonostante l'aumento del prezzo del carburante, le code ai distributori sono ricomparse nelle principali città, e la scorsa settimana il prezzo del pane è salito da 1,40 a 2,50 dollari il chilo. Le manifestazioni si sono fermate solo per paura». Secondo il fotoreporter «le proteste continueranno, a meno di pressioni internazionali su governo e opposizione affinché lavorino insieme. Quanto è avvenuto finora indica la totale incapacità e la mancanza di volontà di chi sta al potere nel riformare e ricostruire lo Zimbabwe».
UN RECENTE EDITORIALE del quotidiano on line The Telegraph invoca il «ritorno degli investitori occidentali e dei professionisti della classe media costretti a fuggire all'estero» . L’articolo prosegue augurandosi che i paesi occidentali chiariscano «a Mnangagwa la necessità di portare a termine il programma di riforme promesso, a meno che non voglia rimanere un paria internazionale. Proprio come il suo vecchio capo».
«La giunta è stupida» titola un saggio di David Coltart, senatore Mdc. Sottotitolo Il ruolo della leadership militare nel distruggere l’economia dello Zimbabwe. Perché sono i militari, il vero governo del paese, a fare del nuovo presidente, più che un paria un burattino di cui muovono ogni filo.

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