POLITICA

Appesi alla memoria di Salvini i 5S preparano il no al processo

Caso Diciotti: domani il ministro invierà alla giunta il suo documento, senza presentarsi
ANDREA COLOMBOITALIA/ROMA

Fumata nera. I senatori dell’M5S si riuniscono in conclave a mezzogiorno per discutere sulla soffertissima scelta da assumere nella giunta per le autorizzazioni. Non concludono niente e rinviano. Questo in superficie. Di fatto le cose stanno un po’ diversamente. I 5 Stelle si avvicinano passetto dopo passetto alla scelta di votare contro l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno, consapevoli di dover fare accettare un voto traumatico alla base militante, molto più rigida dell’elettorato diffuso, poco per volta.
LA SEDUTA PIÙ IMPORTANTE, quella in cui Matteo Salvini si difenderà dalle accuse, era fissata per oggi ma è poi slittata a domani. Il ministro in carne e ossa non ci sarà. Se deciderà di prendere la parola lo farà al momento del voto dell’aula, intorno al 20 marzo. Arriverà invece una voluminosa memoria difensiva «perché scripta manent», spiega l’«imputato» aggiungendo che illustrerà «quello che non ho fatto da solo ma abbiamo fatto tutti insieme per la sicurezza, la difesa dei confini, la legalità e il decoro». Non è ancora certo invece che con il papier del ministro arrivi anche quello nel quale il premier Giuseppe Conte e gli altri ministri si dovrebbero dichiarare pienamente co-responsabili. Il problema non è rappresentato dai loro dubbi, ma da quelli inerenti alla procedura che potrebbe vietare un passo simile, essendo in discussione un caso singolo.
«ESAMINEREMO LA MEMORIA di Salvini con Di Maio», informa Michele Giarrusso, capogruppo 5S in giunta, senza aggiungere altro. Lo aveva peraltro già fatto al termine della riunione del gruppo, qualche ora prima, affermando che «il caso è anomalo e altri simili in giunta non ne sono mai arrivati. Non siamo chiamati a votare sull’immunità, quindi non facciamo riferimento all’articolo 68 della Costituzione, sul quale siamo sempre stati rigorosi, ma all’articolo 96». Si spinge anche oltre il capogruppo Patuanelli: «Non è questione di immunità. Qui si deve valutare se c’è stato un preminente interesse pubblico nazionale. E’ evidente che è stata un’azione di governo ma bisogna valutare se è stata fatta nell’interesse pubblico nazionale o meno». Lo spostamento dei riflettori sull’azione di governo non è insignificante. Per un partito di maggioranza non sarebbe certo facile affermare che il governo intero ha preso una decisione molto delicata senza un valido motivo di interesse pubblico per farlo.
IL COMPITO DI PERMETTERE ai 5 Stelle di riscontrare il preminente interesse pubblico spetta all’avvocatessa del ministro, a propria volta ministra, Giulia Bongiorno: «Sarà documentata la finalità istituzionale», promette. Si può stare certi che, se i 5S vorranno trovare una classica «pezza d’appoggio», nella memoria scritta da Bongiorno e firmata da Salvini la pescheranno senza sforzo. Non è tuttavia ancora certo che vorranno farlo. Spinge in quella direzione, tra gli altri elementi, il parere degli elettori, che secondo gli ultimi sondaggi sono all'80% contrari a concedere l’autorizzazione. Frena l’umore dei militanti e di molti parlamentari, che sono a loro volta ex militanti, convinti che così si sacrifichino i princìpi intoccabili della fede pentastellata. Così, nel dilemma, non è ancora scomparsa la tentazione di lavarsene le mani affidando la scelta al classico sondaggio sul blog. Le controindicazioni sono evidenti: i dirigenti non ci farebbero una bella figura e in più l’esito, votando proprio i militanti, cioè l’ala più intransigente, sarebbe quasi scontato in partenza.
A quel punto la crisi sarebbe inevitabile. Matteo Salvini smentisce, nega, giura che «la sorte del governo non è legata a questo caso». Chiacchiere o nella migliore delle ipotesi buone intenzioni. Lo strappo sarebbe irrecuperabile anche se probabilmente ci vorrebbe un po’ per vederne le inevitabili conclusioni.
UN ALTRO CAPITOLO sul quale le smentite si sprecano riguarda l’eventuale scambio tra autorizzazione negata e resa leghista sulla Tav. «Chi pensa a questo è da curare», sentenzia Salvini. Se ci si immagina uno scambio di figurine, conclamato ed esplicito, ha ragione. Ma inevitabilmente i due tavoli si influenzano. La Lega non può chiedere ai 5S un doppio cedimento. Può solo puntare su un «congelamento» fino a dopo le elezioni europee. Tanto a quel punto tornerà in ballo tutto.

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