VISIONI

Caino eroe buono di Scarlatti, uno scacco mosso alla vita

L’opera barocca è stata rielaborata insieme al musicista René Jacobs
ANDREA PENNAFRANCIA/PARIGI

Anche se in Francia Romeo Castellucci è un nome di richiamo e la Parigi operistica è stata già espugnata con il Moses und Aron nel 2015, allestire un oratorio barocco all’Opéra Garnier segna una tappa significativa nella ricerca creativa del regista romagnolo, la cui scabra e toccante messa in scena di Caino o il primo omicidio, oratorio di Alessandro Scarlatti, è ancora scena fino al 23 febbraio. Colori e movimenti per lo più astratti e pochi appigli visivi per la resa di questo lavoro scritto nel 1707 su libretto di Antonio Ottoboni, come le immagini rovesciate di una pala d’altare di Simone Martini o la mano dei bambini a perpetrare l’omicidio, con lo sdoppiamento dei protagonisti, nella seconda parte. Castellucci, che come sempre cura l’intero spettacolo, insieme a Piersandra Di Matteo e Silvia Costa parte dal tema centrale: «la condizione umana e lo scacco mosso alla vita. La voce di dio usa una parola terribile, asserisce che la vita è una punizione».
IL PARALLELLO con il Moses und Aaron viene spontaneo e Castellucci rilancia: «Il repertorio barocco è consono alla sensibilità contemporanea tanto quanto la musica di Schoenberg. Lì avevamo Mosé, la traversata del deserto e soprattutto l’adorazione del vitello d’oro, temi che parlano alla nostra epoca al di là del contenuto religioso. Nella vicenda di Caino e Abele sviluppata nello straordinario libretto di Ottoboni la tematica essenziale è quella della violenza e del mistero del male nel contesto del disegno divino».
Castellucci spiega anche alcune «staticità» dello spettacolo: «L’oratorio non è un’opera, nasce con un intento pedagogico, orientato spesso al catechismo: forme abitate da grande complessità e raffinatezza, con ricchezza di sfumature e un ventaglio emotivo molto articolato e vario». E insiste sulla parola: «Non sono parole della Bibbia ma la trattazione realizzata tendenziosamente dal librettista; ho lavorato molto sul versante poetico con il privilegio di poter lavorare in italiano in piena collaborazione con René Jacobs, uno dei più grandi specialisti di questo repertorio. Jacobs parla benissimo italiano e conosce a fondo la retorica della forma oratoriale». Si precisa dunque il rapporto fra musica e scena: «Ho cercato di assumere in pieno l’atteggiamento e l’ideologia sottese a quella poetica, sia nelle immagini che nei gesti sulla scena, in apparenza conformi con tutto l’apparato retorico, salvo che poi emergono delle pieghe, dei falsi piani, dei bordi taglienti celati nella forma: quando ci si potrebbe abbandonare alla dolcezza, subito si scoprono le gocce di veleno».
DA QUI l’esigenza di mettere in scena tutti i personaggi, non solo Caino, Abele, Eva e Adamo  (Kristina Hammarström, Olivia Vermeulen, Birgitte Christensen, Thomas Walker) ma anche Benno Schachtner e Robert Gleadow , voci di dio e Lucifero. «Nell’oratorio originale dovevano essere voci acusmatiche – conferma - di cui si udiva il suono senza poterle vedere, stratagemma piuttosto comune nella scrittura barocca. Io ho voluto dar loro un corpo, e nel caso di dio, il personaggio che rappresenta colui che manca, l’assenza: nei miei lavori passati dio non è mai stato rappresentato come un personaggio, stavolta mi piaceva precipitarlo in un corpo, esattamente come è accaduto a Adamo e Eva. Stessa cosa per Lucifero, che è uno strumento nelle mani di dio, come mostra la messa in scena e come emerge dal solo ascolto del testo».
Castellucci indica dio come il mandante del crimine di Caino: «Lucifero è una voce interiore, strumento attraverso il quale dio raggiunge la coscienza di Caino, perché commetta il primo crimine senza conoscerne le reali conseguenze». E poi continua: «c’è una paradossale innocenza di Caino, che fa la scoperta della morte - nessuno prima di Abele era morto -scopre anche il significato della violenza».
IL REGISTA sottolinea la centralità tragica di Caino, «Dovuta al fatto che scopre tutto a posteriori. Caino è spinto a un male essenziale, che non conosce. Da ciò nascequell’aura paradossale di dolcezza, di malinconia, che ci rende Caino molto vicino. Scarlatti in questo è gigantesco, nel trattare musicalmente l’ambiguità di questi personaggi». Per l’Opera di Parigi, che ha prodotto il lavoro insieme al Teatro Massimo di Palermo ci sono parole di gratitudine: «Una grande macchina produttiva, che offre notevoli possibilità creative ma dove si esalta anche il limite dato dal tempo.
Anzi si crea un imbuto temporale, con centinaia di persone da coordinare e poco tempo per prendere decisioni cruciali, situazione che può essere terrorizzante. È stato importante dialogare con le persone all’interno della macchina produttiva, e ho scoperto la disponibilità e il coraggio di un teatro d’opera che ha scelto di credere nel teatro di regia».

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