CULTURA

Le «stelle» di Liliana, Janusz, Andra e Tati

Everteen
ARIANNA DI GENOVAitalia

Liliana Segre, che a 13 anni fu internata nel campo di Auschwitz, racconta da anni la sua storia nelle scuole, facendosi carico e rimasticando quel dolore antico pur di trasmettere la memoria di ciò che accadde alle nuove generazioni. Nominata senatrice a vita nel gennaio 2018, questa volta lo ha fatto anche con un libro, Scolpitelo nel vostro cuore (Piemme, a cura di Daniela Palumbo). Fra le pagine, scorre la sua vita, dalla fuga fallita con il padre in Svizzera, alla prigionia fino al viaggio dal famigerato Binario 21. Lei tornerà indietro, l’amatissimo padre, invece, non lo rivedrà mai più. «Sono una persona che non dimentica - dice - ma libera dallo spirito di vendetta»: la mia libertà sta nel sentirmi una donna di pace».
In occasione della ricorrenza del Giorno della Memoria, gli scaffali delle librerie accolgono molte pubblicazioni dedicate alla Shoah e alla sua narrazione possibile. La cosa migliore, fuor di retorica, è restituire un cono di luce ad alcune figure, come per esempio il pediatra e pedagogo polacco Janusz Korczak, che diresse la Casa degli orfani di Varsavia (dal 1911), fino a quando scelse la morte per accompagnare i suoi bambini ai campi di sterminio nazisti, cercando di lenire le loro paure. A ricordarlo - in questo libro edito da Gallucci - è un «residente» del centro, il suo alunno Itzchak Belfer. Lo fa soprattutto rendendo omaggio a quel metodo di uguaglianza e democrazia - dalla lavagna con gli orari delle risse al tribunale dei piccoli che gestivano spazi comuni, lamentele e conflitti - che Korczak infuse nella vita quotidiana degli ospiti. I suoi scritti hanno ispirato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino e ancora girano fra i banchi delle scuole, quelle che possono vantare gli insegnanti più illuminati. In maniera romanzata, attraversando le vicende - vere - di due giovani come Misha e Sophia, Janusz torna anche in Il dottore di Varsavia (Giunti).
Fra le biografie diventate «testimonianze viventi» c’è quella delle sorelle Bucci, Andra e Tati che, all’epoca della deportazione (prima alla Risiera di san Sabba poi a Birkenau), avevano solo 4 e 6 anni. Si salvarono dal forno crematorio immediato - questa la destinazione dei più piccoli - perché credute gemelle e quindi tenute «in stand by» solo per diventare cavie di Mengele. E anche grazie alla protezione di una kapò. La liberazione arrivò prima degli esperimenti sui loro corpi e le due sorelle, insieme alla mamma e alla zia (non al cugino che non ce la fece), ripresero la strada di casa. La loro storia è diventata un cartone animato, La stella di Andra e Tati (visibile su Rai Play), e un romanzo con lo stesso titolo, scritto da Alessandra Viola e Rosalba Vitellaro, per De Agostini.
La casa editrice Lapis parte, invece, da un oggetto inanimato: da quella stella a sei punte che gli ebrei erano costretti a cucire sui loro vestiti. E nell’albo Fu stella di Matteo Corradini (illustrato da Vittoria Facchini) la fa parlare in forma di filastrocca/voce narrante.

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