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Guido Rossa, operaio, sindacalista e appassionato di democrazia

INTERVENTO
GOFFREDO BETTINIitalia/genova

Il 24 gennaio del 1979 Guido Rossa venne ucciso a Genova dalle Brigate rosse. Era un operaio, un sindacalista, un comunista italiano. Un uomo forte, coraggioso e intransigente nei suoi ideali. Un appassionato alpinista e un normale padre di famiglia.
Fece il suo dovere: segnalò le iniziative di propaganda e le attività dei terroristi nella fabbrica dove lavorava e militava politicamente come iscritto del Pci. Volle rompere ogni sorta di ambiguità a copertura dei violenti, che anche in una parte dei lavoratori si era manifestata. Si schierò con naturale fermezza per la democrazia e la libertà.
Il suo sacrificio è un monito per l’oggi. Ed è di grande significato la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel capoluogo ligure, per ricordarlo in occasione dell’anniversario della sua morte. La storia, infatti, non va dimenticata, o travisata, o peggio ancora utilizzata malamente per fini politici strumentali e volgari. L’ignoranza è la melma dentro la quale si agitano i mestatori e gli imbonitori. Ecco perché la verità va ricordata.
So bene che in nome della parola “comunismo” si sono realizzati, nel secolo passato, errori ed orrori. Lo stalinismo, i Khmer rossi in Cambogia, la rivoluzione culturale cinese, con la decapitazione di una intera generazione di intellettuali. Potrei continuare. Ma so anche che in nome di quella parola hanno lottato per la loro liberazione grandi masse democratiche oppresse dal colonialismo, dallo sfruttamento più brutale, dall’oppressione fascista.
Tali masse nulla o poco sapevano dei crimini sovietici e non avevano letto né Marx né Lenin. Semplicemente coltivavano nel cuore la speranza di un mondo diverso e migliore rispetto a quello nel quale erano costretti a vivere. Nessuna furbesca semplificazione di quelli che ora governano e si sentono “padroni” dell’Italia, può rubare ai comunisti italiani la loro storia.
Dopo la fine del Pci, sono nati altri partiti della sinistra italiana; con altri nomi, altre culture e altri orizzonti. Si sono uniti riformismi diversi, che hanno dato vita all’attuale Pd, per iniziare, con mille difficoltà, un cammino totalmente nuovo.
Guido Rossa ci ricorda, tanto più oggi, che tutto ciò è potuto avvenire anche perché i comunisti italiani, senza alcuna ambiguità, hanno lottato contro il terrorismo e a difesa delle istituzioni democratiche che essi stessi avevano contribuito a costruire insieme ad altre forze democratiche. Questo fu l’“humus“ unitario che permise di sperimentare a Moro e a Berlinguer il più spericolato progetto politico della storia della Repubblica: la collaborazione di governo tra tutte le forze democratiche, incluso i comunisti. I terroristi furono i primi nemici di quello sforzo. Malvisto anche dagli americani e dai sovietici. Il sacrificio di Moro fu voluto per conclamarne il fallimento. La Repubblica perse da allora, tra alti e bassi, il filo di una sua interna coerenza e di un suo progressivo avanzamento.
Oggi ci sembrano tempi lontani; sommersi dal decadimento civile e politico dell’Italia. Dobbiamo sopportare la goffa identificazione, da parte del ministro dell’interno Salvini, tra i “comunisti” e Cesare Battisti, un terrorista latitante. Spregiudicatezza nel confondere le acque, stravolgendo il senso delle parole e la storia italiana. Lo ricorda in una fulminante intervista di ieri Giuliano Ferrara. L’ignoranza, la rozzezza, l’odio, la mancanza di rispetto per gli avversari, la spettacolarizzazione dei sentimenti e dei dolori hanno ormai fatto introiettare alla politica nazionale, la banalità del male. Salvini è banale; tuttavia nei suoi comportamenti è violento e disumano. Le grandi forze democratiche, negli anni 70 del secolo scorso, sconfissero il terrorismo con l’unità e la fermezza; ma anche grazie all’iniziativa di massa, alla battaglia culturale, allo sforzo di recuperare e trasformare l’animo degli assassini, senza perdere l’umanità che deve avere chi ha il compito di giudicare e punire.
Non invocammo la vendetta. Non augurammo ai condannati di”marcire in galera”. Non esponemmo trofei ne considerammo un giorno di festa la cattura dei colpevoli; piuttosto lo avvertimmo come una dolorosa e giusta necessità, a fronte innanzitutto del dolore dei famigliari delle vittime. Salvini (con il suo anonimo assistente Bonafede), tra i suoi mille travestimenti, nel caso della cattura di Battisti, ha indossato l’abito peggiore: quello funereo di un potere statuale che si mette sullo stesso piano dei criminali che doverosamente persegue.
Il potere quando decide sulla vita delle persone, se è democratico, pretende il silenzio, la riservatezza, la consapevole sobrietà che deve accompagnare la punizione deliberata da un essere umano (con tutte le sue imperfezioni) nei confronti di un altro essere umano. E pretende quella dimensione umana che non è di questo governo dai colori leghisti; Il cui cinismo non si ferma all’esibizione dello scalpo di un latitante, ma va molto oltre quando si rifiuta di gettare una semplice rete, lasciando i profughi morire annegati in mezzo al mare.

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