POLITICA

Referendum, ancora modifiche ma i dem non scongelano i voti

LA RIFORMA COSTITUZIONALE
ANDREA FABOZZIITALIA/ROMA

La previsione in Costituzione di un organo terzo che dovrà valutare se il referendum propositivo si dovrà tenere anche nel caso in cui il parlamento approvi una legge sullo stesso argomento. E poi una sorta di par condicio informativa tra il testo che andrà al referendum, quello cioè del comitato promotore, e la legge approvata dalle camere che resterà sullo sfondo in attesa dell’esito della consultazione popolare. Sono le due ulteriori modifiche al testo di riforma costituzionale accolte ieri dalla relatrice 5 Stelle, la deputata Dadone. La maggioranza - ma meglio sarebbe dire i 5 Stelle da soli, visto che la Lega è riuscita a non intervenire mai nel primo pomeriggio di dibattito e votazioni - continua a fare passi verso le opposizioni, facendo proprie due proposte del Pd. Ma il Pd, anche di fronte a un testo che ha risolto le tre questioni pregiudiziali poste all’inizio del percorso della riforma (quorum, niente ballottaggio tra popolo e parlamento, ammissibilità dei referendum legata a una verifica preventiva di costituzionalità), non scongela i suoi voti. Le ragioni della politica, la necessità cioè di non mostrare tentennamenti nell’opposizione al governo giallobruno e soprattutto ai 5 Stelle, prevalgono su quelle di merito. Specie nel clima congressuale. E pazienza se si sta parlando di una riforma costituzionale che richiederebbe collaborazione oltre gli schieramenti.
Ieri sono cominciate le votazioni sugli emendamenti. Andamento lento, sedici voti in un pomeriggio su più di seicento previsti. Forza Italia in effetti fa opposizione fino in fondo, intervenendo su tutti gli emendamenti. E attaccando il presunto «collateralismo» del Pd ai grillini. Cosa che più di tutti preoccupa i democratici, impegnati costantemente a rispondere a questo genere di accuse; in aula si assiste così a una opposizione tra opposizioni. A questi ritmi il voto finale della camera sulla riforma potrebbe scavallare il mese corrente e a febbraio scatterebbe il contingentamento dei tempi (a quel punto dovrebbe partire al senato l’esame dell’altra riforma costituzionale, la riduzione del numero dei parlamentari).
Il Pd ha ritirato l’unico emendamento soppressivo che aveva presentato (dell’articolo uno) per sottolineare di non essere pregiudizialmente contrario all’introduzione del referendum propositivo (in astratto previsto anche dalla fallita riforma Renzi). Ma poi ha stroncato ogni velleità della corrente orientata al dialogo, annunciando già che «questa legge non verrà approvata con i nostri voti» - lo ha detto il deputato Fiano, tra i più duri con i grillini. Un altro deputato dem, Giorgis, ha lanciato l’allarme per il «nuovo istituto di produzione del diritto del tutto autonomo», e anche Gentiloni ha definito la riforma «molto pericolosa: contrapporre la democrazia diretta a quella mediata è un contributo al populismo». Ragionamenti fondati sulla base del testo iniziale proposto dai 5 Stelle, e firmato senza entusiasmo dai leghisti. Ma che non tengono abbastanza in conto le modifiche accolte via via dai grillini, evidentemente preoccupati di imbarcarsi anche loro sulla via della riforma solipsistica. Viene smentita così la disponibilità del capogruppo Delrio a votare a favore «convintamente» nel caso di accoglimento delle proposte Pd.
E invece a questo punto è in forse anche il voto di astensione, che invece sembrano orientati a dare i deputati di Leu (ma anche lì c’è qualche contrario) e +Europa - «sono state fatte migliorie enormi, ma alcune questioni restano scoperte, meglio sarebbe stato richiamare gli stessi limiti previsti per il referendum abrogativo», dice il deputato Magi. Ma siamo solo alla prima lettura e in vista del passaggio della riforma al senato, dove certamente qualcosa sarà toccato, mantenere aperto il dialogo può essere utile.

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