COMMENTO

La gelata del Pil e il baco nel cuore del sistema

Economia
ROBERTO ROMANOITALIA

Le stime della crescita del Pil, particolarmente severe per il 2019, dovrebbero suggerire più di una cautela. Se la dinamica per il 2019 è la caduta in soli due mesi da una prospettiva di crescita dell’1% a allo 0,6% (Banca d’Italia e Fmi), più che di sostenibilità dei conti pubblici, la politica (economica) dovrebbe predisporre misure per la crescita, contro l’avvitamento di tutto il sistema produttivo, industriale e del lavoro. La narrazione della incipiente crisi ha qualcosa di illogico e sovversivo insieme.
Se il Fmi prefigura «un indebolimento dell'espansione globale a fronte di crescenti rischi», dove il mercato finanziario potrebbe «… intensificare i rischi per la crescita globale», il richiamo esplicito all’Italia è inedito ancorché ammantato nella retorica istituzionale: «All'interno dell'area dell'euro le revisioni significative riguardano la Germania, dove le difficoltà di produzione nel settore automobilistico e la minore domanda esterna peseranno sulla crescita nel 2019, e per l'Italia dove i rischi sovrani e finanziari e le connessioni tra di essi stanno aggiungendo ostacoli alla crescita».

In altri termini, le proiezioni di crescita per il 2019 così basse sono un allarme per il sistema economico e non per i conti pubblici. Sebbene Banca Italia, Commissione europea e Fmi abbiano segnalato un significativo rallentamento del Pil, l’esito di questa proiezione non può essere quella di prefigurare delle manovre correttive per garantire i saldi finanziari. Se le istituzioni del capitale internazionali, europee e nazionali registrano un avvitamento del sistema economico così veloce, con dei sospetti rispetto alla tempistica, dovrebbero essere le prime a prefigurare e suggerire delle misure espansive.
Il 2007 e il 2011 dovrebbero aver ben insegnato qualcosa circa gli effetti negativi dell’austerità espansiva. Sebbene caduta nel dimenticatoio, la lezione di R. A. Musgrave, padre di tutti gli economisti pubblici, i compiti della pubblica amministrazione sono ancora validi. Si consideri il campo d’azione della stabilizzazione, il cui compito è di garantire la piena occupazione e prezzi stabili; della allocazione, in cui lo Stato interviene su come il sistema economico alloca le risorse in via diretta e indiretta; della distribuzione, ovvero di come i beni prodotti sono distribuiti tra i membri della collettività. Il governo, inoltre, dovrebbe prendere sul serio questi ammonimenti e modificare le priorità della manovra e, possibilmente, concordare con l’Europa un Piano d’azione sovranazionale. Diversamente sono tutti colpevoli di un attacco all’economia pubblica come strumento per risolvere i nodi dello sviluppo capitalistico che è, per definizione, soggetto a forti oscillazioni.

La verità è, purtroppo, molto più semplice e disarmante: la crescita del reddito mondiale è da molto tempo rallentata, così come il commercio mondiale di beni e servizi. La guerra valutaria e commerciale hanno esacerbato la tendenza, e non l’hanno determinata. Semmai sorprende come le istituzioni internazionali non abbiano ancora preso atto del rischio che, in ultima analisi, potrebbe diventare incontrollato se dovesse esplodere la bolla finanziaria dei derivati; quest’ultimi valgono 2,2 milioni di miliardi, cioè 33 volte il Pil mondiale. In realtà non siamo mai usciti dalla crisi.
A livello mondiale la crescita del Pil è molto lenta e, peggio ancora, gli investimenti non hanno dato nessun contributo reale. Quest’ultimi sono calati in rapporto al Pil e non è un buon segnale. Anche il commercio mondiale di beni e servizi è calato in rapporto al Pil, ma molti paesi si ostinano a consegnare la propria crescita sul saldo attivo tra esportazioni-importazioni, compresa l’Italia. In realtà il mondo non è mai veramente uscito dalla crisi. Il Pil conseguito è significativamente più basso di quello potenziale o, almeno, rispetto alle proiezioni dei primi anni 2000. Qualcosa è cambiato e chiamiamo crescita la variazione di decimali e/o recessione la variazione di decimali. L’appunto del Fmi e Banca d’Italia è ben più grave di quello che può sembrare. C’è una tecnostruttura che reclama un ruolo politico a difesa degli interessi costituiti, allontanandosi dal governo dei cambiamenti.

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