POLITICA

Calenda, il frontismo europeista piace al Pd (ma non a Renzi)

BOSCHI ATTACCA M5S, LO ’STATO SOCIALE’ LA CANZONA
DANIELA PREZIOSIITALIA/ROMA

Piace a Laura Boldrini ma anche a Marco Minniti, a Beppe Sala e Giorgio Gori, a Maurizio Martina ma anche a Nicola Zingaretti, a falchi confindustriali come Alberto Bombassei e a cultori del ritorno al socialismo come il presidente della Toscana Enrico Rossi. Ha messo d’accordo un po’ tutti il «manifesto» di Carlo Calenda, ieri reso pubblico dall’autore e dai primi firmatari dopo essere stato a lungo limato e compattato fino a raggiungere la forma compiuta di un generico quanto incontestabile europeismo dal volto umano.
VI SI TROVANO AFFERMAZIONI che bordeggiano avventurosamente l’ovvietà, come «l’obiettivo non è conservare l’Europa che c’è, ma rifondarla per riaffermare i valori dell’umanesimo democratico in un mondo», l’invito a costruire un fronte largo e democratico - sfumati gli eccessi macronisti, viene evitata con cura la formula «fronte democratico» ma nella sostanza di questo si tratta - che mobiliti le forze «del progresso, delle competenze, della cultura, della scienza, del volontariato, del lavoro e della produzione».
NEL PD L’ENTUSIASMO (dichiarato) è generale, eccezion fatta per i renziani doc. E in effetti il pregio politico del «manifesto», oltre a candidare di fatto l’autore alle europee, è quello di sgomberare definitivamente il campo dall’ipotesi di scissioni, rotture o iniziative «macroniste» concorrenti come quelle, eventuali e sempre più improbabili, di Matteo Renzi. La proposta di Calenda ormai coincide con quella della lista aperta per le europee di Zingaretti, e quella di Boldrini per una lista «senza simboli». Tutti dentro, dunque, per l’Europa contro i sovranisti, senza star lì a spaccare il capello: «Non si chiede di nascondere identità o simboli che sono stati costruiti con fatica e impegno, ma di schierarli dietro una bandiera che possa rappresentare chi ha perso fiducia nei confronti delle singole sigle politiche ma non nel progetto europeo», vi si legge. E se poi gli eletti dovessero aderire a gruppi diversi, «lungi dal costituire un problema, rappresenterà l’anticipazione di una rifondazione delle grandi famiglie europee che dovrà necessariamente avvenire lungo una nuova linea di frattura: quella che separa i sovranisti illiberali dagli europeisti democratici».
IL FRONTE REPUBBLICANO c’è, ma non si dice. Per questo restano freddi i renziani ai quali viene scippata definitivamente l’iniziativa, riproposta dall’ex ministro con un piglio più inclusivo, anche a sinistra.Infatti Roberto Giachetti è cauto: bene l’idea, ma «prima di scegliere la formula con la quale partecipare alle europee dobbiamo decidere quale è la nostra proposta e con chi realizzarla».
DAL CANTO SUO RENZI ieri si è impegnato a stroncare il cosiddetto reddito di cittadinanza. Non gli piace perché «siamo una repubblica democratica fondata sul lavoro, non sul sussidio. Noi vogliamo combattere la povertà creando posti di lavoro e non garantendo assistenzialismo o, peggio ancora, accentuando il lavoro nero». Su questa scia argomentativa l’ex ministra Maria Elena Boschi scivola nella rete. «Dice Di Maio che col reddito di cittadinanza da oggi cambia lo Stato Sociale. La colonna sonora infatti diventa ‘Una vita in vacanza’», scrive, citando il gruppo musicale e il suo inno «sanremese». Ma i musicisti si dissociano in modo scanzonato: «Preferiamo la piena automazione o un reddito di cittadinanza vero», e poi con riferimento alla cena con Salvini: «Venite a cena con noi invece che con i leghisti per parlare di cose realmente di sinistra». Boschi corre ai ripari, accetta l’invito, ma la figuraccia è fatta.
L’OPPOSIZIONE AL DECRETO grillino al grido del no all’assistenzialismo è una scoria del periodo renziano. Di «finalità giusta» nonostante «le distorsioni del testo» parla invece Andrea Orlando, e Cesare Damiano descrive il reddito e quota 100 come di «due misure nostre», la battaglia deve concentrarsi «sulle contraddizioni e le insufficienze». Calenda invece la pensa come Renzi. E infatti basterebbe chiedere ai firmatari del manifesto un’opinione sul tema per vedere il «fronte» disfarsi prima di nascere.

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