VISIONI

Mia Martini, una voce vissuta tra malinconia e rabbia

«Io sono Mia» di Riccardo Donna, il racconto sopra e fuori dal palco
STEFANO CRIPPAITALIA

Quando il successo si fa travolgente - Oltre la collina (1971) un album d’esordio di folgorante bellezza, Mia Martini ha appena 24 anni. Eppure riesce a passare dalla rabbia di Padre Davvero - «scandaloso» successo presentato al Festival d’avanguardia e di nuove tendenze di Viareggio capace di scalare la hit parade di Lelio Luttazzi - al doppio Baglioni quasi elegiaco di Gesù è mio fratello, decisamente più aggressivo in Amore...amore...un corno, con una spiazzante maturità. Ma dietro quel successo c’è un privato difficile, un rapporto irrisolto con il padre, la fuga con la sorella Loredana nella capitale e gli inizi di carriera quando utilizza il suo nome vero - Mimì Bertè - zoppicanti, dove il repertorio un po’ sdolcinato limita il suo enorme potenziale.
Io sono Mia - il biopic di Riccardo Donna (regista del film su De Andrè uscito giusto un anno fa) scritto da Monica Rametta, sull’interprete di Bagnara Calabra, nelle sale il 14,15 e 16 gennaio e su Rai1 a febbraio, mette insieme i pezzi di un’esistenza tormentata. Una carriera esaltante complicata dalla terribile diceria, alimentata tra gli anni settanta e ottanta, che la vuole «portatrice di sventure» così da tagliarle i ponti e comprometterle rapporti. Serena Rossi è Mia Martini, attenta nel coglierne gli sguardi, l’espressione malinconica, le rabbie e gli slanci emotivi, ma soprattutto brava a far sue le grandi doti dell’interprete di Minuetto.
I BASSI PROFONDI e le note che sembrano spezzarsi prima di lanciarsi in acuti lancinanti, e le sfumature del canto prima e dopo l’intervento alle corde vocali, che ne trasforma il timbro rendendolo roco ma ancor più profondo e dolente. Gli autori scelgono l’escamotage di un’intervista concessa a una giornalista (Lucia Mascino) a poche ore dal ritorno sanremese della cantante del 1989 con Almeno tu nell’universo che ne rilanciò la carriera sei anni dopo il volontario ritiro, per ripercorrere vita, carriera, successi e cadute con qualche licenza e personaggi inventati. Anche per necessità: Ivano Fossati suo autore, produttore e compagno per anni e Renato Zero, storico amico hanno chiesto espressamente di non essere nominati «Ma più che la verità sulla sua vita - sottolinea il regista - mi interessava riuscire a capire cosa aveva dentro lei. Io conservo la certezza che Mia Martini sia stata la più grande cantante italiana e dopo aver fatto questo film, mi rimane una domanda: perché Mimì non ha lottato di più: perché ha accettato tutto questo senza reagire?».
UN PERCORSO artistico quello di Mimì complesso e che il film non può riassumere nella sua totalità, fatto di incontri importanti e collaborazioni di prestigio con Fossati, De Andrè (compare non citato per motivi di diritti in La mia razza, un brano del 1990), Conte, De Gregori, Gragnaniello, Murolo.
Progetti a volte difficili - un disco di riletture jazz del suo repertorio e di brani altrui come Come together dei Beatles e This Masquerade di Leon Russell, curato da Maurizio Gianmarco (1992), che le ostacolano la carriera insieme a un’integrità artistica che le costarono la rottura di importanti contratti discografici così da mandarla sul lastrico.
E POI LA TERRIBILE maldicenza su fatto che portasse sfortuna: «Alcuni di quelli che diffondevano queste voci sono ancora vivi - spiega Loredana Bertè (nel film itnterpretata da Dajana Roncione) - io non faccio le loro trasmissioni, continuo a rifiutarle e quando li vedo - sottolinea - bastano gli occhi». Per far capire a che punto arrivò quella stupida voce, Loredana racconta che ci fu un Sanremo in cui chi organizzò il festival strinse una sorta di accordo segreto con una persona vicina a sua sorella: la paura che crollasse il teatro era tanta che ci voleva un garante che sedesse in prima fila durante la sua esibizione. «Questo film - ribadisce Donna - è solo un piccolo modo per chiederle scusa, tutti noi del mondo dello spettacolo non abbiamo fatto abbastanza per impedire ciò che le stava accadendo».
«PER ME - prosegue Loredana Bertè è stato un colpo al cuore vedere Serena interpretare Mimì, specialmente perché ho rivisto cose esclusive che faceva mia sorella». Nel film vengono ripercorsi gli anni del ritiro volontario ma imposto dagli eventi, dove si esibisce in sagre paesane, spesso su basi registrate, giusto per «pagare l’affitto»: «Ha sempre deciso di testa sua - dice Serena Rossi - e a un certo punto ha deciso che era meglio essere reclusa piuttosto che essere umiliata, ma poi quando le è arrivato il provino di Almeno tu nell’universo, la musica ha vinto». Il film si ferma qui, la vita di Mimì va avanti ancora sei anni, con altri successi e tanti progetti da realizzare: un disco di riletture napoletane, uno con Pino Daniele, una collaborazione con Mina. Ma tutto si interrompe il 12 maggio 1995, quando viene ritrovata morta nella sua casa di Cardano al Campo.

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