SPECIALE

Netflix, gli Oscar, le sale. Prospettive sul futuro

IL DIBATTITO SULLA PIATTAFORMA
GIOVANNA BRANCAITALIA/ROMA

«Dovrete aspettare il prossimo episodio» aveva detto al pubblico della Festa del Cinema di Roma il direttore del Festival di Cannes Thierry Frémaux parlando della disputa con Netflix, per la quale nessun film della piattaforma quest’anno ha partecipato al Festival.
Perché è cominciato proprio sulla croisette il dibattito che ha tenuto banco per tutto il 2018 su Netflix e il suo rapporto con la sala cinematografica e le leggi sulla distribuzione - un dibattito nato già nel 2017, con la furia degli esercenti francesi per la selezione in concorso di due film della piattaforma, Okja di Bong Joon-ho e The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach - senza che Netflix avesse alcuna intenzione di rispettare le finestre cinematografiche (il tempo che deve passare fra l’uscita in sala e sull’home video) previste dalla legge. Da lì il «Netflix ban» del 2018, l’approdo a Venezia di film come Roma, il suo trionfo, l’incredibile risposta del pubblico a Sulla mia pelle di Cremonini e l’esplosione della polemica in Italia - fino al decreto Bonisoli e all’inedita decisione della piattaforma di consentire l’uscita di Roma in sala con un lieve anticipo sul debutto in streaming. Perché la partita più importante, adesso, non si gioca in Europa ma negli States, con la notte degli Oscar - dal cui esito dipenderanno con ogni probabilità molte importanti decisioni della piattaforma ma anche dell’industria europea che osserva con interesse gli sviluppi della vicenda.
In un articolo del mese scorso il «Wall Street Journal» spiegava che già da luglio Netflix si è rivolta a una delle più prestigiose società che fanno campagna premi - la LT-LA - e che ha aiutato numerosi film a vincere delle statuette. La compagnia di Ted Sarandos ha già vinto un Oscar al miglior documentario nel 2017 (con Icarus di Bryan Fogel), ma è evidente che uno dei premi maggiori porterebbe Netflix su un nuovo livello, e le permetterebbe di attrarre ancora più registi (e di conseguenza più sottoscrizioni) del calibro di Cuarón, dei Coen o di Scorsese, del quale Netflix distribuirà il film sinora più costoso - The Irishman - il cui budget è lievitato al punto da venire scaricato da Paramount Pictures, consentendo il subentro della piattaforma che ha contribuito con un importante finanziamento. Di The Irishman si sa per ora solo l’anno di uscita - il 2019 appunto - senza nessuna ulteriore specifica. Non è forse da escludere che Netflix aspetti di vedere cosa accadrà agli Oscar prima di fare piani certi sul «metodo di distribuzione» di un film importante e attesissimo come quello di Scorsese.
La risposta dell’industria americana al favorito Roma è ancora incerta: da un lato una nomination è già assicurata (miglior film straniero), ma la vittoria non è scontata, né soprattutto l’eventuale candidatura alla prestigiosa miglior regia. Anche a Hollywood non tutti gradiscono la politica di Netflix rispetto alla sala - lo scorso marzo Spielberg aveva detto: «Non credo che i film che escono solo in qualche cinema per poco tempo dovrebbero essere considerati per le nomination agli Academy Awards».
Ma nel frattempo anche in Francia qualcosa sta cambiando: le piattaforme streaming ora possono vedersi ridotta la finestra cinematografica a 15 mesi dagli iniziali tre anni se danno il loro contributo all’industria nazionale, cosa che Netflix sta facendo con un gran numero di produzioni francesi. Se quindi per il futuro è lecito aspettarsi che Venezia continuerà la sua politica, sempre coerente negli anni, di apertura verso Netflix, forse anche a Cannes qualcosa potrebbe muoversi, e c’è da credere che pure lì guarderanno con attenzione agli sviluppi degli Academy Awards. «Il mio compito è mostrare lo stato del cinema in un’epoca in cui un film di Scorsese è distribuito da Netflix - aveva detto Fremaux a Roma - Vedremo cosa accadrà nel 2019».
Il prossimo episodio è la notte degli Oscar.

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