VISIONI

Le falene notturne di Jon Fosse

GABRIELE RIZZAitalia/prato

Sopraffatta da un eccesso di minimalismo, appena contraddetto da qualche sussulto materno e da meccanici nervosismi infantili, la regia naviga irrisolta in cerca di un indistinto malessere. Certo il teatro del norvegese Jon Fosse, di cui Carmelo Alù dirige a Prato l’inedito «Cani morti», offre solo appigli di meditata assenza. Appunto meditata. Non meramente trasmessa. Fosse evoca atmosfere livide, minacciose. Postpinteriane. Svuotate di emozioni e consegnate fastidiosamente al disagio. Nell’apparenza della dissolvenza succedono cose equivoche. Vedi la scomparsa di un cane. Che fine avrà fatto? In scena un tavolo, tre sedie in formica da tinello anatomico, e un proiettore, di quelli che popolano i set cinematografici. Come falene notturne attratte dalla luce, Il giovane uomo, La madre, L’amico, La sorella, Il cognato (Domenico Macrì, Alessandra Bedino, Emanuele Linfatti, Caterina Fornaciai, Daniele Paoloni) ci guardano dentro. Si specchiano per capire cosa succede fuori. C’è del marcio in questo condominio affacciato sul fiordo. Anonimato, sospensione. La vita è altrove. E il teatro?
Gabriele Rizza

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