VISIONI

Quel passaggio incantato tra infanzia e adolescenza

In scena i primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrjashenko
FRANCESCA PEDRONIITALIA/MILANO

«La scenografia non è un manierismo e la drammaturgia che ci viene sottoposta - sia una tragedia, un’opera, un balletto o una pubblicità - va rispettata perché è l’ossatura della casa che stai costruendo». Uno dei motivi del successo del primo allestimento de Lo schiaccianoci di George Balanchine con il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, in scena fino a metà gennaio, si lega al senso di questa dichiarazione rilasciata da Margherita Palli, alla sua prima volta come autrice di scene e costumi per il balletto, nell’intervista curata da Silvia Poletti nel libretto di sala del teatro.
MAI PRIMA d’ora la Fondazione Balanchine aveva permesso riprese de Lo schiaccianoci senza scene e costumi originali: nella sua interezza il balletto, salvo un passaggio a Copenaghen dieci anni fa, non si era mai visto in Europa. Sfida non da poco, visto il confronto con una Fondazione rigorosa nel custodire l’eredità di un maestro della scena quale è stato George Balanchine.
IL SUO Lo schiaccianoci, ribattezzato all’americana The Nutcracker, debuttò a New York nel 1954, un titolo destinato ad avere lunga vita, nato a partire dai ricordi di Balanchine di quando, bambino, danzava nelle riprese del balletto firmato nel 1892 da Marius Petipa, Lev Ivanov e Ciaikovskij al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Petipa e Ivanon costruirono Lo schiaccianoci pensando ai bambini dei primi corsi della Scuola di Ballo dei teatri Imperiali: per vedere un’esibizione da prima ballerina, bisognava attendere il secondo atto e l’arrivo magico della Fata Confetto, ai tempi l’italiana Antonietta Dell’Era. E così è ne Lo Schiaccianoci di Balanchine, un tuffo nell’infanzia che a Milano vede la corposa presenza in scena degli allievi dei primi corsi della Scuola di Ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala, insieme a ruoli più virtuosistici come la Fata Confetto e il suo Cavaliere con i primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrjashenko nella variazione femminile sulla celesta, nel radioso Adagio e nella variazione maschile, la scintillante Goccia di Rugiada della prima ballerina Martina Arduino, in perfetto levare musicale e i vari protagonisti del divertissement.
MOLTI APPLAUSI anche ai giovanissimi, Giulia Consumi nella parte di Marie, Amos Halilovic, nel ruolo del birbante Fritz, Leonardo Baghin, elegante nel suo Principe Schiaccianoci. Alle spalle la feconda e nota collaborazione con Luca Ronconi, pronta al ritorno in Scala a febbraio per firmare le scene di Chovanšcina di Musorgskij per la regia di Mario Martone e la bacchetta di Valery Gergiev, Margherita Palli ha costruito la sua «ossatura della casa - balletto» lasciandosi affascinare dal coté fiabesco della versione di Balanchine. Palli non tralascia l’effetto adorato dal coreografo dell’albero di Natale che cresce, luccicante, nella notte dando il via all’animazione dei giocattoli-soldatini pronti a sparare lardo sui terribili Topi; né si tira indietro di fronte al Regno dei Dolciumi che domina il secondo atto, ispirandosi all’Apotheke zum Weissen Engel di Vienna e alla pasticceria Marchesi in Galleria a Milano.
Tra le sue fonti anche l’americana Drayton Hall e i colori di Maxfield Parrish, ma gli azzurri che virano a una punta di verde ci riportano alla San Pietroburgo e al Mariinskij di Balanchine. Una bellezza irreale domina la scena bianco-azzurra del valzer dei fiocchi di neve, con lupi e cerbiatti disegnati che spuntano nei fondali dipinti. Il tutto avvolto dalla musica di Ciaikovskij, partitura sul passaggio tra infanzia e adolescenza per la bacchetta di Michail Jurowskj.

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