VISIONI

Mario Martone: «È il movimento a renderci vivi»

Il regista racconta «Capri Revolution», in sala il 20 dicembre. Arte e libertà alla vigilia della Grande Guerra
GIOVANNA BRANCAITALIA/ROMA

l punto di partenza è la fine del Giovane favoloso, il film di Mario Martone su Leopardi, secondo capitolo di una trilogia ideale che si apre con Noi credevamo e termina con il nuovo film del regista napoletano, in sala dal 20 dicembre dopo l’esordio in concorso al Festival di Venezia: Capri Revolution. «Il film inizia idealmente dal finale del Giovane favoloso - dice infatti Martone - nel quale Leopardi è affacciato sul golfo di Napoli e si sentono i versi della Ginestra», la poesia delle «magnifiche sorti e progressive dell’umanità» che al suo interno contiene il senso profondo di Capri Revolution: «Il rapporto costante di molto piccolo e molto grande, di bisogni individuali e universali» . O, continua il regista, del «molto intimo e la volta del cielo sopra Capri», l’isola del golfo di Napoli dove è ambientato il suo film che si apre nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale che avrebbe cambiato per sempre il mondo e gli esseri umani. La protagonista Lucia (Marianna Fontana) passa le sue giornate a pascolare le capre: «È una giovane donna nata in una famiglia patriarcale che si innamora dell’utopia, della libertà» - dice la co-sceneggiatrice Ippolita Di Majo - scoperte attraverso l’incontro con la comune guidata da Seybu (Reynout Scholten Van Aschat), ispirata a quella fondata proprio a Capri nel 1900 dal pittore Karl Diefenbach.
LE ISPIRAZIONI , spiega Martone, sono però molteplici all’interno di un film fondato proprio sull’incontro, il dialogo - un movimento costante di arti, energie, pensieri . «Il movimento è ciò che ci rende vivi, e mi sembrava giusto sottolinearlo proprio ora che sembra che il mondo si debba bloccare, tutto è irrigidito: i confronti, i luoghi - per esempio alcuni Paesi accessibili fino a una decina di anni fa e ora non più». L’arte stessa, aggiunge il regista, «è un grande processo collettivo che ci riguarda tutti, anche chi crede che la cultura non sia importante». Per questo sulla «sua» Capri si incontrano una miriade di suggestioni artistiche e intellettuali che non si limitano ai primi decenni del Novecento: «Quelli della trilogia sono film che appartengono al passato quanto al presente».
LA FIGURA di Seybu diventa così quella di un artista performativo, e le sperimentazioni che porta avanti con gli altri membri della comune evocano anche «il desiderio di liberare il proprio corpo alla base della danza moderna». Inoltre a Capri in quegli anni «c’era anche un gruppo di esuli russi della rivoluzione del 1905, tra loro Gorkij e lo stesso Lenin che visitò l’isola più volte». Il pensiero socialista rivoluzionario è incarnato nel film da Carlo (Antonio Folletto), il dottore che intesse un dialogo con Seybu: «Un confronto aspro ma in cui ognuno dei due dà qualcosa all’altro». Ancora una volta dialettica e movimento, necessario ma non necessariamente positivo: «Non volevamo che la comune fosse monodirezionale: lo stare insieme sprigiona energie sia positive che negative». Come nel caso del personaggio di Herbert (Maximilian Dirr) - «una figura oscura che vuole portare il lavoro sulla danza alle sue estreme conseguenze» - e come dimostra il precipitare del mondo verso il conflitto: «L’incombere della guerra è qualcosa che dice molto dell’esperienza di questi giovani che vogliono tutti rompere delle gabbie». In primo luogo la protagonista, che come nota Di Majo non si ribella solo all’ordine patriarcale della sua famiglia ma «trasgredisce anche le regole della comune, non si appiattisce sulla figura del maestro».
E C’È ANCHE, nel vegetarianesimo della comune abbracciato da Lucia, un riferimento alla posizione assunta da Tolstoj : «Io non sono vegetariano - dice Martone - ma il vegetarianesimo è un’importante frontiera politica del futuro, qualcosa con cui noi e i nostri figli ci dovremo confrontare nel nostro rapporto con gli animali e la natura, anche se Trump continua a dire che non sta succedendo nulla» - a negare cioè la catastrofe climatica.
Martone ci tiene a fare un riferimento anche a un altro evento drammatico recentissimo: i sampietrini dedicati alle vittime dell’Olocausto rubati due notti fa a Roma. «Le pietre divelte sono una delle tante cose agghiaccianti che accadono quotidianamente e ci fanno sentire che ci stiamo abbrutendo, ma questa in particolare spinge alle lacrime, ci fa chiedere che cosa stiamo diventando».

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