EUROPA

«Un movimento politico più che sociale contro ingiustizie e rappresentanza»

INTERVISTA ALL’ANTROPOLOGO ALAIN BERTHO
GUIDO CALDIRONFRANCIA/PARIGI

L’antropologo Alain Bertho, docente all’Università di Paris VIII e direttore della Maison des sciences de l’homme di Paris Nord studia da anni la «globalizzazione delle rivolte urbane», tema cui è dedicato anche il suo blog anthropologie du présent.
I «gilet gialli» rappresentano un movimento sociale anomalo, che sembra essere unificato soprattutto dalla richiesta di dimissioni di Macron. Di cosa si tratta?
Credo dovremmo cominciare a parlarne in realtà come di un movimento politico. Mi spiego. Si tratta di un fenomeno più radicato in alcuni settori sociali e in alcune zone del paese, ma che aggrega persone che provengono da ambiti politici e ideologici tra loro molto differenti a partire da due tipi di rivendicazioni, o se si vuole di slogan. Da un lato le tasse, la questione della tassazione eccessiva presente in Francia che cela però in realtà al suo interno il tema della giustizia sociale, dell’esplosione delle diseguaglianze. Dall’altro, il fatto di negare ogni sorta di mediazione, l’indisponibilità a concedere a qualcuno la rappresentanza dei propri interessi, anche in vista di possibili nuove elezioni, o anche il semplice fatto di parlare a nome di che partecipa alla mobilitazione stessa. Perciò si denuncia la crescita della disuguaglianza sociale e allo stesso tempo si indica come gli strumenti abituali della rappresentanza politica sono inadeguati a contenere quanto sta accadendo e c’è piuttosto bisogno che il Capo dello Stato dia risposte concrete e immediate subito. Se a questo si aggiunge che intorno ad ogni singolo blocco stradale si sono sviluppate nel corso delle ultime tre settimane discussioni, proposte e analisi, un confronto costante che sta costruendo passo dopo passo un discorso pubblico comune - un po’ come accaduto un paio d’anni fa con il movimento parigino della Nuit debout - in grado di aggregare altri gruppi e altre rivendicazioni, come sta avvenendo con gli studenti, appare chiaro come si tratti prima di tutto di un movimento politico di tipo nuovo che non sembra alcun modo interessato, per il momento almeno, ad una sua traduzione parlamentare.
Sul piano sociale, malgrado l’evidente eterogeneità del movimento, è possibile tracciarne una sorta di radiografia?
Credo si tratti soprattutto di «lavoratori poveri», vale a dire che dispongono di una salario anche se questo è appena sufficiente per tirare avanti, di pensionati, di piccoli e piccolissimi imprenditori in crisi. Ma se questo, insieme ad una fetta crescente di giovani e studenti, è più o meno lo spaccato sociale dei gruppi presenti nei diversi blocchi stradali, si deve considerare come oltre il 70% dei francesi condivida le posizioni e i temi di fondo del movimento, segnale del fatto che esprime dei contenuti che sono molto più diffusi e comuni di quanto la partecipazione diretta alla mobilitazione abbia indicato fino ad ora: molte persone si identificano evidentemente nei «gilet gialli». Del resto, molti automobilisti hanno messo un gilet giallo sul cruscotto della propria auto per segnalare la propria vicinanza a chi partecipa ai blocchi. Infine, il dato della condivisione è ancora più impressionante se si tiene conto che si è registrato dopo le gravi violenze e devastazioni che sono accadute a Parigi lo scorso sabato.
Se per oggi si temono nuovi incidenti, proprio analizzando i fatti del 1 dicembre alcuni osservatori hanno parlato, per l’estensione delle violenze e per i simboli attaccati, come l’ex Borsa di Parigi, di una sorta di «insurrezione» piuttosto che di un semplice riot, come quelli ricorrenti nelle banlieue. Cosa ne pensa?
In quell’occasione si è assistito alla convergenza di diversi fenomeni. C’erano in piazza dei giovani che al di là del fatto che facciano riferimento all’estrema sinistra piuttosto che all’estrema destra, sono in grado di rovesciare delle auto, montare delle barricate, appiccare un incendio, attaccare i negozi. Ma se si guarda al profilo delle persone che sono state arrestate quel giorno, ci si rende subito conto del fatto che tra i manifestanti coinvolti in quegli incidenti c’era soprattutto gente «normale», lavoratori, studenti, artigiani che si sono fatti coinvolgere da quanto stava accadendo, che sono talmente arrabbiati che hanno «varcato la soglia» della violenza e sono «passati all’atto» sapendo bene cosa stavano facendo e quello che rischiavano. Ed è questo che ha in effetti in sé qualcosa di insurrezionale. E credo che tutto ciò sia dovuto al fatto di non trovare, o non avere proprio un interlocutore. Di questo clima che cresce nel paese a Parigi ne hanno fatto le spese alcune banche e negozi di lusso del centro ricco della città, ma altrove, e penso in particolare a quanto accaduto in una piccola località del Massiccio centrale, si è arrivati a dare alle fiamme una prefettura.
Sul piano politico, quanto sta avvenendo traduce una sorta di paradosso: l’«era Macron» costruita sull’azzeramento dei corpi intermedi - partiti, sindacati, ecc - è messa in discussione da un movimento che rifiuta proprio le forme della rappresentanza. Cosa accadrà ora?
La crisi della rappresentanza che sta favorendo un po’ ovunque il montare del populismo è dovuta in gran parte al fatto che esiste una frattura crescente tra lo Stato, svuotato di molte delle sue prerogative e della sua stessa autonomia dai processi della globalizzazione, e il popolo. Macron, dal canto suo, ha scelto di accentuare questo divario cercando di cancellare i corpi intermedi della società, per porsi direttamente come interlocutore dei cittadini. Per questo è soprattutto verso di lui che si rivolge ora la rabbia di una parte della popolazione. Non c’è più nessuno che può mediare tra il presidente e i contestatori. Difficile perciò fare qualunque tipo di previsione, anche se penso che in ogni caso questo movimento, o altri simili, continueranno a crescere. In Francia come in tutto l’Occidente.

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