INTERNAZIONALE

L’Italia tace su tutto e l’Ue va alla resa sulle sanzioni

Trump, Iran e Khashoggi
ALBERTO NEGRIARABIA SAUDITA/usa/iran/europa

Intimiditi dagli Usa di Trump, preoccupati dal timore di perdere i grandi affari con i sauditi e ossequiosi nella consueta riverenza a Israele, gli europei, settimana dopo settimana, si avvicinano strisciando a una resa assai poco condizionata su due casi ribollenti: le sanzioni all’Iran e l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Gli americani, dice il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif in un incontro riservato all’Unioncamere, si scelgono sempre male i loro alleati contro di noi e i nostri amici, prima l’Iraq di Saddam, poi i jihadisti in Siria, quindi l’Arabia saudita in Yemen. Ora hanno messo sanzioni a chi commercia con Teheran. «Ma l’accordo sul nucleare del 2015 - sottolinea Zarif - è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu di 100 pagine che gli stessi Stati uniti di Obama hanno firmato e adesso impongono sanzioni a chi vorrebbe rispettare questo risoluzione come gli Stati europei. Un paradosso: violano i trattati e vorrebbero che anche gli altri li violassero». Dovete proteggere le vostre imprese, incalza Zarif, pur sapendo che sono nel mirino delle sanzioni e rischiano di non potere più esportare negli Usa e persino di fare transazioni in dollari. Se l’Europa ha ancora un senso si dovrebbe opporre alle sanzioni Usa all’Iran mentre Trump ancora difende il principe saudita mandante dell’assassinio di Khashoggi e dimostra chiaramente di volere appoggiare i sauditi, nemici di Teheran, alleati «ombra» degli israeliani e maggiori clienti dell’industria bellica americana.
Anche l’Italia non si può accontentare della concessione americana di importare petrolio per altri sei mesi da Teheran: i conti bancari sono già stati bloccati e anche i pagamenti delle nostre esportazioni verso l’Iran.
Con la repubblica islamica l’Italia, primo partner europeo, ha un giro d’affari superiore ai 5 miliardi di dollari l’anno e con le sanzioni ha già rinunciato a grandi commesse in infrastrutture, trasporti, energia, per circa 30 miliardi di dollari.
Investimenti e partnership necessari all’Iran a creare occupazione: ogni anno, mi ricorda Zarif, arrivano sul mercato 1,2 milioni di giovani in cerca di nuovi posti di lavoro.
Le sanzioni hanno anche rivolti surreali: gli studenti iraniani in Europa, per esempio, non possono ricevere direttamente soldi da casa. Gli Stati uniti hanno quindi messo in black list non soltanto il regime degli ayatollah ma un intero popolo, dentro e fuori i confini. L’Unione europea deve dire chiaro e tondo agli americani che intende rispettare l’accordo sul nucleare, un trattato internazionale che è anche una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu. E agire di conseguenza continuando ad avere rapporti economici con Teheran, ma finora ha esitato a mettere in atto i mezzi necessari. In Italia qualche cosa si muove ma il governo evita di sollevare ufficialmente la questione perché la Lega è solidale con ogni mossa gradita a Israele. È una questione di dignità e sopravvivenza politica. O dobbiamo aspettare qualche dichiarazione da Mosca per sapere se qui in Italia e in Europa abbiamo o meno un’opinione? Così come non l’abbiamo ancora neppure su Khashoggi. Per lavarsene le mani gli europei si affidano al comunicato del 23 ottobre del G7 dove i ministri degli Esteri invocano un’inchiesta trasparente con la collaborazione tra Turchia e Arabia saudita.
Ma qui ormai si sta intuendo che sull’introvabile corpo di Khashoggi - smembrato e dissanguato da un anatomopatologo saudita - Ankara e Riad hanno intavolato una sorta di macabra trattativa.
Trump mente come un eroinomane sull’innocenza del principe Mohammed bin Salman per salvare non solo lui ma anche re Salman e il trono delle Due Spade, costretto pure alla tregua in Yemen. I turchi fingono di tenere sotto pressione la monarchia wahabita con dichiarazioni bellicose: in realtà, suggerisce Robert Fisk sull’Independent, chiedono ai sauditi di portarsi a casa le milizie jihadiste di Idlib nella Siria del Nord, togliendo le castagne dal fuoco a Erdogan che si era impegnato con Putin a liberare la città dagli islamisti. I russi, che pure con il ministro degli esteri Lavrov ieri a Roma si dichiaravano supra partes, sono sempre più impazienti di chiudere la partita siriana perché devono capire come portare a termine insieme a Egitto e Francia l’eliminazione degli islamisti libici attraverso il generale della Cirenaica Khalifa Haftar. Questa è la posta in gioco sulla Sponda Sud. E l’Europa che fa? La sola Germania ha congelato l’export di armi a Riad ma continua vendere le bombe con la fabbrica Rwm che ha in Sardegna. Gli altri europei mettono volentieri la testa sotto la sabbia del Golfo dove è in corso, dal Qatar agli Emirati ai sauditi, una corsa agli armamenti che sta tenendo in piedi l’industria bellica americana ed europea con relativi posti di lavoro. Nella nostra retorica europea ci sono tanti buoni princìpi ma alla fine preferiamo sempre i prìncipi del trono di spade.

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