VISIONI

Raffaella Giordano, «la danza è un incontro d’amore»

La lunga collaborazione con Mario Martone e il lavoro su «Capri Revolution»
FRANCESCA PEDRONIITALIA/MILANO

ILa danza inscritta nel corpo come un flusso necessario, vitale. Il movimento che prende forma da qualcosa di intimo e infinitamente piccolo per trovare poi una relazione con ciò che sta intorno. Entrare nello spazio, farne parte attraverso il tempo, in un sentimento di misteriosa consonanza.
Celeste - appunti per la natura di e con Raffaella Giordano è un assolo di quelli che restano a lungo nello sguardo e nel sentire dello spettatore. Rivede in scena dopo molto tempo una delle artiste di maggior spessore della danza d’autore italiana nel suo cammino ormai più che trentennale.
L’ASSOLO nasce nel 2017, dopo quattro anni dall’ultimo lavoro di Giordano, L’incontro, ideato con la coreografa e danzatrice Maria Muñoz. Tra le ultime tappe di Celeste il festival Danae di Milano, che lo ha programmato all’Out Off dove lo abbiamo visto, prossima data il 23 novembre al teatro Annibal Caro di Civitanova Marche per Civitanova in Danza.
Giordano è un’artista solitaria, una ricercatrice esigente, mossa da slanci generosi: incontrarla non è mai un’esperienza banale. «Celeste - ci racconta - è un assolo radicato in uno spazio silenzioso. Sono partita da un libro, L’estate della collina di J.A. Baker, che mi ha colpita per l’osservazione dei legami prossemici che la natura ci offre. La danza con il suo linguaggio non verbale ha, come la natura, una sua forza autonoma. Negli anni ho incontrato il gesto della danza con una tensione inquieta, in Celeste ho ritrovato un legame più disteso che la lascia fluire. La danza è un incontro d’amore: l’essere danzante esprime una bellezza commovente quando si sente in esso una radice che affonda da qualche parte. Nella genesi creativa c’è qualcosa di misterioso, ma nel processo è fondamentale il rapporto con lo spazio, il tempo e la forma. Per Celeste sono partita da dodici strutture elementari che hanno poi figliato altri movimenti. Come nella natura si parte dal piccolo per aprirsi verso l’esterno: il gesto è qualcosa di inscritto nello spazio, senza la tensione dello spazio collasserebbe su se stesso. Ed è una partitura precisissima, una drammaturgia delle forme».
QUESTO AMORE per la danza come espressione intimamente legata all’umano è una costante nel lavoro di Giordano e dell’Associazione Sosta Palmizi curata dall’artista insieme a Giorgio Rossi a Cortona, un fondamento che dalla danza va con Giordano ad investire altri campi, il teatro, l’opera lirica, il cinema. «Ne Il Calderon di Federico Tiezzi ho lavorato per aiutare gli attori ad ascoltare quello che è già inscritto nei loro corpi, nel film L’intrusa di Leonardo Di Costanzo, in cui interpreto la parte di Giovanna sola di fronte alle difficoltà, ho lavorato su di me, per trovare, sempre attraverso l’ascolto, il significato delle parole e delle situazioni». Ma il rapporto segnato dal numero maggiore di collaborazioni è quello con Mario Martone. «Dopo il mio ultimo lavoro collettivo, Cuocere il mondo (del 2007, ndr), avevo bisogno di sospendere l’attività produttiva. Mi sono dedicata all’insegnamento, al lavoro con i ragazzi, dovrebbero esserci più poli di studio sulla danza ed è una ferita aperta. La mia relazione con Mario Martone è cominciata su questo tema ai tempi in cui dirigeva il Teatro Stabile di Torino. Mi offrì un progetto formativo da cui sono nati vari percorsi di giovani autori. Da allora ho lavorato con lui in tante opere liriche e in tre suoi film, Noi credevamo, in cui ho coreografato la scena visionaria dell’incubo di Mazzini, Il giovane favoloso, dove sono la madre di Leopardi, e Capri Revolution».
PRESENTATO all'ultimo Festival del Cinema di Venezia, Capri Revolution, in uscita nelle sale il 20 dicembre, racconta la comune costituita i primi del Novecento a Capri dal pittore Karl Diefenbach sul modello di quella fondata a Monte Verità, in Svizzera, da Rudolf Laban, artista chiave della danza libera tedesca di quegli anni e rivoluzionario teorico del movimento. «Laban cercava l’alba di un’urgenza, sentiva la necessità di spezzare forme estetiche di movimento per trovare la relazione con lo spazio, con la natura. È stato un percorso complesso coreografare i movimenti della comune, relazionarmi a Laban senza farne una citazione. Ho lavorato con un cast di persone molto differenti tra loro, alcuni non danzatori. Ho provato insieme a loro ad affrontare il tema della naturalezza, come costruirla, perché la si perde. Negli anni ho sempre lavorato su di me nel nascondimento, non ho mai amato le situazioni in luce. Il lavoro nel cinema con Martone mi ha obbligata a fare affidamento sui miei strumenti, a rispondere a informazioni precise, a definizioni di campi. Un rapporto di fiducia. L’essere umano che si esprime attraverso il corpo è una forma viva che abita il movimento. Investire sul potenziale umano è una lotta politica. La danza ci permette di essere veicolo di qualcosa di più grande di noi, il potere che ha di convocare altri individui in un percorso che ci riavvicina alla natura è un fatto politico».

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