INTERNAZIONALE

Elezioni senza mimetica. Vincono i moderati

UCRAINA/DONBASS
YURII COLOMBOucraina/donbass

A quattro anni dalle prime elezioni le cosiddette Repubbliche popolari secessioniste di Donetsk e Lugansk sono tornate dal voto. Nel 2014 si votò mentre si combatteva alle porte delle due città e con le macerie per le strade; oggi la vita delle due provincie ha una parvenza di tranquillità anche se non mancano scambi di cannonate tra le milizie delle repubbliche ribelli e l'esercito ucraino.
SCONTATA LA VITTORIA di Denis Pushinin designato a sostituire Alexander Zakharcenko ucciso lo scorso 31 agosto in un attentato a Donetsk. Pushinin ha ottenuto il 60,9% dei voti. A Lugansk il più votato è stato Leonid Pasecnik (68,4%) che prende il testimone da Igor Plotnizky. Giudizio negativo sul voto, e non poteva essere altrimenti, da Kiev e da Washington che promettono una nuova raffica di sanzioni.
Anche gran parte della comunità internazionale non ha riconosciuto il voto: in testa Parigi e Berlino che hanno parlato di «iniziativa che fa fare un passo indietro al processo di pace». Mosca ha dovuto barcamenarsi. In quanto firmataria degli accordi di Minsk, che prevedono il reintegro delle provincie nei confini ucraini, non ha potuto benedire il voto ma Dmitry Peskov, portavoce ufficiale di Putin ha affermato di guardare con «comprensione» a questo voto: «Stiamo parlando di due repubbliche che sono state respinte dall’Ucraina e sono in uno stato di assoluto embargo» ha dichiarato il funzionario del Cremlino, accusando al contempo Poroshenko di non voler giungere alla pace.
SECONDO GLI OSSERVATORI internazionali (tutti simpatizzanti della causa delle repubbliche) ma anche per i media indipendenti russi il voto si è svolto «secondo standard occidentali» e l'affluenza è risultata se non plebiscitaria comunque molto alta (80,5%). La campagna elettorale è stata però diversa rispetto al 2014: molti candidati hanno preferito presentarsi nelle pubblicità con giacca e cravatta anziché con la mimetica. Segno di una voglia di «normalità» che pervade una popolazione segnata dall'isolamento internazionale. La situazione economica interna resta disastrosa.
SE NEL DONBASS ucraino i minatori continuano a scioperare per ottenere gli arretrati dei salari, le miniere di carbone sotto il controllo dei «ribelli» sono spesso chiuse per mancanza di commesse e molta gente ha preso la via dell'emigrazione nella vicina provincia russa di Rostov sul Don. Le chiavi della loro sopravvivenza restano in mano a Putin, il quale controllando il rubinetto degli «aiuti umanitari» può deciderne le sorti in qualsiasi momento. Una sorte legata in ultima istanza alle trattative internazionali - ancora congelate - per la sistemazione dell'intera regione

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