«Il ddl Pillon deve essere ritirato. Si tratta di un disegno di legge sbagliato nell’impianto e nessuna modifica lo potrebbe mai rendere accettabile. Le piazze indicano la piena consapevolezza da parte dei cittadini e delle cittadine della violazione dei diritti civili e umani inserite nella proposta». Lucida ed esatta, Luisanna Porcu commenta così la giornata di ieri in cui migliaia hanno manifestato per dire no alla proposta del senatore leghista. Psicologa-psicoterapeuta, responsabile del Centro Antiviolenza Onda Rosa di Nuoro, e segretaria dell’associazione nazionale D.i.Re - donne in rete contro la violenza, conferma che il ddl sia «un passo che ci riporta indietro anche rispetto alla riforma del diritto di famiglia del 1975 prevedendo un’unica famiglia e un intervento statale nelle relazioni familiari disciplinando minuziosamente ciò che sarà la vita di chi intende separarsi».
Che cosa raccontano le oltre cento piazze di ieri?
Rappresentano la richiesta di ritiro del ddl che nega l’accesso alla giustizia per tutte e tutti, crea un percorso a ostacoli per arrivare alla separazione generando delle enormi differenze da un punto di vista economico e familiare, affermando l'immenso potere del patriarcato e violando l’interesse dei bambini e delle bambine.
Quali sono i punti più critici del decreto e perché non si può cedere?
Entra pesantemente nella vita individuale e familiare delle persone cercando di imporre un unico «modello» come se tutte le separazioni fossero uguali; crescono tantissimo i costi della separazione, e nel momento in cui questo avviene va a colpire il soggetto più debole economicamente all’interno della coppia; è una proposta che non mette al centro i bambini e le bambine; abolisce il diritto del bambino a continuare a vivere nella casa familiare e non tiene conto delle donne che nella coppia subiscono violenza.
In che modo Di.Re. si colloca in questo percorso?
I Centri Antiviolenza della rete D.i.Re sottolineano da 30 anni il tentativo costante da parte delle istituzioni, della politica e degli ordini professionali di «normalizzare la violenza». Il ddl Pillon è esattamente uno di questi tentativi e discrimina le donne e i bambini. Il ddl nomina la violenza, è vero, ma la riconosce tale dopo il terzo grado di giudizio. È un disegno di legge che si traduce in azioni contraddittorie e contrapposte alle reali azioni di supporto necessarie dando continuità alla sottomissione e discriminazione delle donne e dei bambini. Obbliga le donne tutte a sottoporsi a sei mesi di mediazione prima di poter presentare istanza di separazione.
Pretendere che le donne medino con il violento, cosa vietata non a caso dall’art. 48 della Convenzione di Istanbul, è vietata proprio perché non è possibile mediare tra chi prevarica e chi ha una posizione di subordinazione. Questo ddl pretende che le donne separino il loro essere donna e persona dal loro ruolo materno; chiede a loro che considerino la violenza come un problema tra partner e impone un modello di bigenitorialità che lede i diritti dei minori.
Il prossimo passo che intendete fare?
Anzitutto l’audizione in Senato fissata per il 13 e quello successivo la manifestazione femminista del 24 novembre. È dovere di noi tutte e tutti difendere i nostri diritti, che vanno dai nostri spazi alla 194, non dobbiamo permettere a nessun governo e nessun partito politico di prendere parola sui nostri corpi, sulle nostre vite e sulla nostra libertà di movimento.