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Per una opposizione intelligente e di movimento

Sinistra
FRANCO MONACOITALIA

Chiarisco subito: il mio giudizio sul governo gialloverde è più che severo, direi allarmato. Per quanto il termine sia generico e consunto, il populismo, pur diversamente interpretato dai due partner, è la cifra che lo definisce. Contesto, in punto di fatto, il mantra secondo il quale ciò che sta scritto nel «contratto di governo» sarebbe la fonte di legittimazione della sua azione, non essendo passato al vaglio degli elettori, ai quali semmai si giurò che mai e poi mai Lega e 5 stelle avrebbero governato insieme. Ogni giorno di più si dimostra la distanza e persino il carattere alternativo della cultura politica e delle priorità programmatiche dei due partiti di maggioranza. Smentendo la tesi sbrigativa e di comodo di chi, dall’opposizione, li rappresenta come un tutt’uno. Renzi in primis. Chi fa buona politica dovrebbe regolare i propri comportamenti muovendo da un’analisi lucida e oggettiva, da un discernimento dei soggetti in campo.
Dal suo punto di vista, lo fa un giornale politico come il Foglio, che ha suggerito, in caso di rottura della maggioranza, un patto tra Pd e Lega per andare ad elezioni politiche a maggio in coincidenza con il voto europeo. E comunque auspicando l’impegno del Pd a escludere categoricamente un eventuale intesa di governo con i 5 stelle. Appunto con l’argomento che Lega e Pd, pur distanti, entrambi si riconoscerebbero nel «partito del Pil» antitetico al partito ostile alla crescita. È una tesi che non mi convince: in quella ipotesi, come ci andrebbe il Pd a elezioni? Rivendicando il merito di avere aperto a Salvini un’autostrada per palazzo Chigi quale premier incontrastato? Raccontando di nuovo che basterebbe a se stesso, con la favola della vocazione maggioritaria? O non sarebbe costretto a motivare il suo accordo tattico con la Lega per elezioni subito proprio con la tesi del Foglio circa l’affinità sotto la voce «partito del Pil»?
Una proposta che non mi convince, ma che ha tre meriti: interrogarsi su differenze/affinità tra i tre principali attori in campo; non essere elusivi sulla questione concreta in caso di crisi della maggioranza; chiedere al Pd di uscire dal suo stato comatoso e di operare scelte, quali che esse siano. Insomma fornire materia politica dirimente per il suo confronto congressuale. Ripeto: dissento dall’dea del Foglio. Io penso il contrario e tuttavia apprezzo il metodo. Un’opposizione per essere efficace deve essere intelligente. Andare al merito delle questioni e sui concreti interlocutori. Penso cioè che sarebbe utile e doveroso che un Pd non più immobile si incuneasse nelle ormai vistose contraddizioni della maggioranza e in quelle in seno ai 5 stelle. Si vedano i distinguo pentastellati su sicurezza e immigrazione, le misure volte a ridurre la precarietà nei rapporti di lavoro, lo stesso reddito di cittadinanza del quale certo discutere l’implementazione, a certe condizioni non così distante dal reddito di inclusione varato da Gentiloni. Il contrasto alla corruzione e gli stessi limiti alla prescrizione sono una storica battaglia legalitaria del centrosinistra, che oggi vede la Lega attestata sulle vecchie posizioni ostruzionistiche berlusconiane. Ancora: la sensibilità a esigenze redistributive che si evince dall’idea del contributo di solidarietà dalle pensioni più alte. Nelle ultime ore la Lega ha fatto approvare in Lombardia una mozione che sa di accanimento discriminatorio: vieta ai richiedenti asilo la cura del verde pubblico su base volontaria, con il voto contrario di Pd e 5 stelle. Vi pare poco? Infine e soprattutto la politica estera: se ondivaghi sono i 5 stelle, sin troppo univoci sono i due riferimenti della Lega, Putin e il gruppo sovranista di Visegrad. Su questi e su altri punti le posizioni di 5 stelle e Pd non coincidono, ma si potrebbe aprire un terreno di confronto. Sicura è la sterilità di una opposizione ideologica e pregiudiziale. Non cambia le cose, non attiva dinamiche. Non si può denunciare l’egemonia incontrastata di Salvini, senza fare nulla per depotenziarla, senza fare intravedere eventuali alternative possibili, senza dare sponde a chi, dentro la maggioranza, più o meno apertamente, a quella egemonia non si rassegna.
Con l’aventinismo delle opposizioni, Salvini può maramaldeggiare.
In breve, bene la suggestione del Foglio. Essa pone con nettezza le questioni. Si può poi decidere in un senso o nel suo contrario. Non però eludere il nodo. Nel tempo della proporzionale e con gli attuali rapporti di forza (politici, parlamentari, elettorali), un PD al 17 % deve fare una politica di movimento, non può raccontarsi e raccontare la propria autosufficienza. Sarebbe un modo sicuro per reiterare la propria inutilità. Un contributo preterintenzionale allo status quo, non a torto rappresentato come motivo di allarme.

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