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«Maraviglie e gran diversitadi delle genti»

Divano
ALBERTO OLIVETTIITALIA

Torno sul tema del lontano, un argomento che il lettore di queste note ha già incontrato. Prendo spunto da certe illustrazioni miniate apposte ad una copia trecentesca del «libro di messer Marco Polo da Vinegia, che si chiama Melione, il quale racconta molte novitadi della Tartaria e delle tre Indie e d’altri paesi assai» che Marco detta in carcere, fatto prigioniero dai genovesi nella battaglia navale di Curzola nel settembre del 1298, a Rustichello da Pisa. E non a caso Livre des merveilles fu designato il Milione e come tale conosciuto, per le straordinarie sorprese che la sua lettura riservava nel riportare le meraviglie di quei lontani paesi. Notizie di luoghi visitati o dei quali Marco aveva sicura attestazione e che poteva descrivere con precisa cognizione. Riporto la breve descrizione della remota Agama, raggiungibile partendo dall’isola di Nenispola, posta centocinquanta miglia a tramontana di Iava. «Agama è una isola; e non hanno re, e sono idoli. E sono come bestie selvatiche; e tutti quegli di questa isola hanno capo di cane, e denti e naso a somiglianza di gran mastino. Egli hanno molte ispezie. E sono mala gente, e mangiano tutti gli uomeni che possono pigliare, da quegli della contrada in fuori. Loro vivande sono latte e riso, e carne d’ogni fatta mangiano; hanno frutti diversi da’ nostri». Nella miniatura corrispondente alla descrizione di Agama si vedono cinque isolani dai modi molto compiti, tutt’altro che «bestie selvatiche». Vestono abiti della medesima foggia di quelli che si indossano in quegli anni del primo Trecento a Roma o a Parigi. E portano eguali calzature. Si muovono in un prato ove verdeggiano alberi e piante. Le abbondanti semente riempiono due sacchi. Sono mercanti e ne vanno contrattando il prezzo. I loro gesti son quelli di chi va dirimendo un contenzioso e vedi l’uno che cerca di convincere della ragionevolezza d’una sua offerta, mentre l’altro eccepisce mostrando a dito la qualità della merce e il terzo dice la sua. Altri due, a parte, - «egli hanno molte ispezie», sappiamo - cercano un accordo valutando il contenuto d’una scatoletta piena, per certo, di aromatiche bacche. Uno mostra una bacca all’altro, ma costui indica di preferire quella lì che sta ancora nella scatola. Scene al tempo consuete in ogni piazza di mercato, in ogni città d’Europa. Ma i cinque favolosi mercanti hanno testa di cane lupo, di pelame argenteo ben pettinato. E non sembrano, per la verità feroci. È che il nostro miniaturista ha un tocco leggero e tratteggia quei cinque in attitudini e modi civili. Così il diverso, l’estraneo che ci sorprende provenendo da stupefacenti lontananze è qui declinato nelle maniere di un ordinario quotidiano. E il fantastico, il favoleggiato, come avviene osservando queste preziose illustrazioni, sembra trovare una sua consona residenza, inserito armonicamente entro una cifra feriale, accostato ai comportamenti di tutti i giorni. C’è dunque, in questo commento illustrato del Milione, l’attestazione che Marco Polo è credibile e che il suo, delle estreme lontananze del mondo, è un resoconto degno di fede, veritiero. Come a dire che il meraviglioso o, si dica, lo stupore, intrattiene più di una relazione con una attendibile, esauriente constatazione del vero. E che il favoloso, l’estraneo, il diverso sono componenti indispensabili al conseguimento dell’umana verità. Nel Prologo che invita alla lettura Rustichello scrive: «Signori imperadori, re e duci, e tutte altre gente che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messer Marco Polo egli medesimo le vide. Ma ancora v’ha di quelle cose le quali egli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l’altre per udita, acciò che ’l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna. E però disse intra se medesimo che troppo sarebbe grande male s’egli non mettesse in iscritto tutte le maraviglie ch’egli ha vedute, perché chi non le sa l’appari per questo libro».

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