CULTURA

Evelyn, una ragazza in volo dall’Empire State Building

NARRATIVA
GIACOMO GIOSSIITALIA

Il primo maggio del 1947 una giovane impiegata si suicida buttandosi dalla terrazza panoramica dell’Empire State Building, non è certamente il primo suicidio che avviene dal famoso grattacielo di New York e non sarà nemmeno l’ultimo, tuttavia resta vivido nella memoria il gesto di Evelyn McHale, questo il nome della giovane donna, proprio per l’iconica fotografia scattata da Robert Wiles che ritrae il corpo della donna schiantatosi sopra una macchina di un diplomatico appena sceso dopo averla parcheggiata. Il corpo appare quello di una giovane e attraente donna assopita morbidamente come se le lamiere dell’auto più che contorte fossero cuscini di cotone: nemmeno il violentissimo impatto sembra avere deformato i suoi lineamenti e la stessa grazia di quel viso, come fosse assopito.
LA FOTOGRAFIA, che ha ossessionato artisti e invaso le cronache di allora, è giunta fino a noi narrandoci una storia, forse comune e forse proprio per questo significativa nella sua semplice durezza e atroce conclusione. E parte dal biglietto di addio di Evelyn il racconto di Nadia Busato, mentre il titolo ne prende in prestito una frase, Non sarò mai la brava moglie di nessuno (Sem, pp.255, euro 16).
Nadia Busato costruisce così un vero e proprio romanzo d’inchiesta su una storia accaduta più di settant’anni fa, quando il mondo pareva risorgere e per molti versi così era, uscendo da due terribili guerre. Soprattutto, era un tempo in cui vivere e lavorare a New York a ventitré anni - questa l’età di Evelyn - poteva aprire porte e possibilità per un «futuro felice e radioso», o almeno così recitavano i rotocalchi dell’epoca.
L’autrice apre la propria indagine partendo dalla madre della ragazza, ne racconta la vita, fin dai minimi dettagli, per arrivare a costruire una cornice tanto documentata quanto sentimentale. Allo stesso modo, procede di capitolo in capitolo con una struttura tanto lineare quanto imprevedibile, coinvolgendo nella narrazione non solo chi ha intercettato l’esistenza di Evelyn - la madre, il fidanzato o semplicemente i poliziotti che sono intervenuti - ma anche dando voce a chi, dopo e prima di lei, si suicidò lanciandosi da quella medesima terrazza, a chi progettò lo stesso Empire State Building, a coloro che - come Sally Kirkland, Mary Leatherbee e Mary Hammamn - furono le determinanti collaboratrici di Edward Kramer Thompson alla direzione di Life, il giornale che per primo pubblicò la fotografia di Robert Wiles.
Non sarò mai la brava moglie di nessuno assume così i contorni e le caratteristiche di un’esemplare microstoria, iconica quanto l’immagine che la inchioda alla tragedia. Una microstoria dentro la quale, con sensibilità giornalistica - e anche di esperta narratrice - Busato rivela il contesto di un tempo che appare a tratti lontano (settanta anni), ma che attraversa ancora oggi e non troppo sottilmente gli uffici, i posti di lavoro qualunque, le case e le famiglie dentro alle quali il ruolo della donna risulta subalterno, escluso da una reale condivisione, pubblica come intima.
TUTTAVIA, IL CENTRO del racconto ha una sua efficacia proprio perché è attorno a Evelyn che l’autrice lavora e stabilizza la propria scrittura, ed è grazie solo a questa empatia che possiamo «leggere» anche oltre la tragedia di Evelyn. Non a caso, la storia si chiude con la sua di voce, il racconto in prima persona di una fatica e di un dolore fino ad allora ignorato.

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